Un Paese fragile che non impara a fare prevenzione
La scossa è durata pochi secondi ma ha provocato danni ingenti
Un terremoto di intensità 4 della scala Richter non dovrebbe creare grandi problemi. Eppure a Casamicciola crollano povere antiche case. Una chiesa si sbriciola e le sue pietre uccidono. L’ospedale dell’isola viene evacuato in via precauzionale. Proprio quella Casamicciola che nel luglio del 1883 venne letteralmente distrutta da un terremoto devastante, classificato di «scala 10» della scala Mercalli, quella che si basava sull’entità dei danni.
Non c’erano ancora i sismografi, all’epoca. Eppure fu talmente grave, quel sisma, che uccise almeno 2000 persone, da sedimentarsi nelle coscienze: «Fare Casamicciola», in napoletano, significa agitarsi all’estremo. E tra quei morti c’era buona parte della famiglia di Benedetto Croce. Si sapeva, si sa. Addirittura qualche mese fa, nelle celebrazioni in onore del filosofo, l’attore Servillo leggeva dal palco alcune sue pagine di memorie del terremoto.
Ecco, un terremoto di questa intensità davvero non dovrebbe fare eccessivi danni. Se le case sono state costruite bene, seguendo le procedure, poi conservate e adattate ai criteri antisismici. Altrimenti basta poco a farle venire giù.
«Ci confrontiamo con la solita Italia – dice il geologo Mario Tozzi – dove il pericolo sismico è sempre in agguato». E non ha parole, Tozzi, che continuamente denuncia la sottovalutazione dei rischi. «Eppure Casamicciola, geologicamente parlando, è appena dietro l’angolo. Impossibile dimenticarsi del rischio. Il terremoto è addirittura entrato nel gergo. Insomma, sotto una scossa di grado 4 le case non dovrebbero crollare. E invece da quel che vedo molti muri si sono disintegrati».
La storia geologica dell’isola di Ischia è nota agli addetti ai lavori. Si spiega con il Tirreno, un oceano in movimento che si va aprendo. Nulla a che fare con le faglie dell’Appennino. Quella è un’altra storia. L’asse Norcia-Visso-L’Aquila è un sistema sismico a sé, che al limite può essere visto come la coda dell’Irpinia. Ma se quelle sono faglie che un momento (geologicamente parlando) dormono, un altro si risvegliano, con il mar Tirreno non c’è scampo: il movimento del sottosuolo è continuo, il rischio di scosse immanente.
Con un precedente come il terremoto del 1883, poi, il rischio sismico sull’isola è acclarato. Non si scampa. E qui le cautele nelle costruzioni dovrebbero essere massime, forse più che altrove. Ma va da sé che nel Napoletano si è costruito male e in povertà. L’abusivismo è cronicizzato. «L’Italia – diceva qualche giorno fa, parlando a Foligno a un convegno, il presidente del Consiglio nazionale dei geologi, Francesco Peduto – è un Paese bellissimo, ma allo stesso tempo fragile perché geologicamente giovane e manifesta la sua vulnerabilità sotto gli aspetti sismico, vulcanico e idrogeologico». E allora? Peduto, con un gioco di parole, ha spiegato che più che la Protezione civile «occorre una Prevenzione civile».
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