Il golpe del Papa re

Papa Francesco entra a gamba tesa per fare approvare dal Parlamento italiano lo ius soli, la legge che concede automaticamente la cittadinanza italiana a chi nasce sul territorio nazionale.

È il Papa, ne ha facoltà, in fondo fa il suo mestiere, l’unico in cui alle parole non devono seguire fatti, atti, prese di responsabilità, spese e problemi. Se ne sta, Bergoglio, giustamente rintanato e protetto nella sua città-Stato-fortezza e dice a noi che dobbiamo accogliere tutti senza se e senza ma. Il suo ovviamente non è un parere vincolante ma, diciamo così, ha un certo peso soprattutto alla vigilia di un dibattito parlamentare e di un voto.

Per questo capiamo l’imbarazzo di Gentiloni quando pochi giorni fa lo ha visto segretamente in un incontro in cui probabilmente il Papa gli anticipava l’intenzione di uscire allo scoperto per appoggiare lo ius soli. Immaginiamo difficile che il premier gli abbia replicato da statista a schiena diritta, tipo: Santità non si permetta, si faccia gli affari suoi che noi italiani da oltre centocinquanta anni siamo uno Stato autonomo dalla sua Chiesa e pure sovrano. Diciamolo, pur non sapendo: più probabile che Gentiloni – come del resto fece un suo famoso avo – abbia abbozzato, ringraziato per l’interessamento e promesso un forte impegno del suo governo per esaudire un così autorevole desiderio. In cambio di cosa? Con le elezioni alle porte, e nuovi governi da varare, le vie del Signore sono infinite e ricche di sorprese per chi asseconda il regno dei cieli.

E dire che in Italia i magistrati perseguono con tenacia il lavoro delle lobby che interferiscono con la politica. E da non molto è stato pure introdotto nel nostro ordinamento il reato di «traffico di influenze» proprio per impedire che qualcuno, forte della sua carica o autorevolezza, pur non commettendo reati inquini il regolare svolgimento della democrazia. È possibile far capire a un Papa Re, pure un po’ marxista, che in democrazia decidono i cittadini e non i sovrani e i cardinali? Penso di no, del resto se la Chiesa avesse sposato questo principio Bergoglio probabilmente oggi non sarebbe sulla Cattedra di San Pietro ma pensionato in una parrocchia di Buenos Aires. Per dirla tutta, se fossimo in democrazia, neppure Gentiloni sarebbe premier. Che due non eletti provino a segnare il futuro dell’Italia è davvero cosa pericolosa.

IL GIORNALE

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