Il terrore uccide, ma sempre di meno: il declino di Isis

Dalla strage del Bataclan all’attentato di Barcellona, il terrore ha cambiato forma. Colpisce con maggiore frequenza, in modo disordinato, ma con minore efficacia. «Naturalmente l’Isis fa ancora molto male, ma la sua potenza di fuoco è diminuita. Sono stati tagliati gran parte dei contatti tra il califfato, o ciò che ne rimane, e le cellule europee che non ricevono un addestramento militare. Il risultato sono attentati che, con l’eccezione di Nizza, hanno un numero di vittime relativamente contenuto a causa del dilettantismo dei terroristi». A parlare è Alessandro Orsini, docente della Luiss e direttore del sito Sicurezza Internazionale. A queste conclusioni è giunto analizzando tutte le stragi e gli omicidi jihadisti in Europa occidentale, dal 2015 ad oggi. Grazie ad un modello interpretativo basato su cinque indicatori (numero degli attentatori, attacchi simultanei e coordinati, armi usate, vittime e tempo trascorso tra un attacco e l’altro), lo studioso afferma che il terrorismo dell’Isis in Europa occidentale è in grave difficoltà, forse addirittura in declino: «È fondamentale fare una premessa: è possibile che l’Isis riesca a realizzare una nuova strage come quella di Parigi, nessuno di noi può prevedere il futuro, ma dalla mia ricerca emerge in modo chiaro che le capacità operative dei terroristi nelle nostre città si sono drasticamente ridotte». In questi giorni il sociologo, che è anche Research Affiliate al Mit di Boston dal 2011, sta completando un saggio che ai primi di settembre uscirà sulla «Rivista di Politica» edita da Rubbettino: «Analisi comparata delle stragi jihadiste in Europa occidentale». Ricerche avviate da tempo, ma improvvisamente tornate attuali, dopo la strage dello scorso 17 agosto: «Negli ultimi anni – aggiunge – abbiamo assistito a un mutamento sostanziale delle azioni terroristiche messe in atto nelle grandi città europee. Mi pare che quanto sta emergendo in questi giorni sulla dinamica dell’attacco e soprattutto sulla sua improvvisata fase preparatoria, confermi la mia tesi».

Da Parigi a Bruxelles

Il 13 novembre del 2015 una cellula Isis composta da 9 terroristi, tra basisti e gruppo di fuoco, colpì Parigi al cuore in sei punti diversi. Fu un’ecatombe: 137 vittime, compresi 7 attentatori, e 368 feriti. Meno di due anni dopo, Barcellona, un furgone lanciato sulla folla a spasso sulle Ramblas e un piano monumentale sfumato nell’esplosione accidentale di un magazzino stipato di bombole di gas. In mezzo ci sono 12 attentati, dai più organizzati come quelli di Bruxelles, a quelli davvero artigianali, come ad Ansbach in Germania e Saint-Étienne-du-Rouvray in Normandia. Ma la comparazione mostra che i primi segni di indebolimento emergono già a Bruxelles, nel corso del duplice attentato all’aeroporto alla stazione della metropolitana di Maalbeek del 22 marzo 2016: «Il commando che entrò in azione a Bruxelles era composto da 5 jihadisti contro i 9 di Parigi – spiega il sociologo -. Nella capitale francese furono usati esplosivi e mitragliatori mentre in quella belga soltanto cinture esplosive». E come spiega Orsini, «un attacco con un mitragliatore causa molte più vittime di un attentato con una cintura esplosiva». Alla fine a Bruxelles si conteranno 35 vittime contro le 137 di Parigi. Da allora, e fino alla strage di Barcellona, in Europa sono entrati in azione singoli individui o piccolissimi gruppi di massimo tre unità, armati nella maggior parte dei casi di attrezzi da lavoro o semplici coltelli, oppure alla guida di furgoni e camion lanciati contro la folla. «L’attentato di un lupo solitario rappresenta un evento molto meno grave per l’immagine di un Governo dell’attentato di una cellula jihadista che opera coordinandosi», argomenta Orsini nel suo studio. Anche perché un solo uomo che si muove nel proprio territorio nazionale è quasi invisibile alle forze di polizia rispetto a un gruppo in cui compaiono anche cittadini stranieri, come in effetti è successo a Parigi.

Il caso Barcellona

Barcellona rappresenta in questo senso un’inversione di tendenza? Del resto dal fronte delle indagini continuano ad arrivare indizi di una realtà operativa in contatto col califfato: «Forse in contatto, ma comunque non addestrati. Conta solo ciò che hanno fatto durante la strage – ribatte lo studioso –. Anche se siamo di fronte a una cellula composta da diverse persone, anche se alcuni di loro avevano probabilmente una linea aperta con la Siria, i fatti dimostrano che si tratta di militanti non inseriti in un tessuto terroristico di tipo professionale. A dimostrarlo basterebbe l’esplosione di Alcanar, la palazzina rasa al suolo dallo scoppio accidentale di 120 bombole del gas. A quanto pare stavano provando il funzionamento dell’ordigno negli stessi locali dove avevano stoccato l’esplosivo. Un errore da dilettanti. Per non parlare della conclusione dello scontro a Cambrils, dove sono morti in cinque contro un solo poliziotto». Per gli inquirenti spagnoli, la cellula catalana era composta da 12 elementi. Otto dei quali sono morti, gli altri sono stati arrestati. «Eppure, a fronte di un gruppo così ampio, soltanto uno è entrato in azione sulla Rambla», rileva il docente della Luiss. «Anche Barcellona dimostra la crisi di Isis in Europa. Una fase di declino innescata dal rifiuto dei musulmani di Occidente di aderire in massa al messaggio estremista, alla sostanziale scomparsa dello Stato Islamico, ma anche alle nuove leggi di vari Stati europei che impediscono di viaggiare verso la Siria o verso gli altri territori in mano al Califfato per combattere con l’Isis. Prima di questa legge i giovani europei raggiungevano abbastanza facilmente i campi di addestramento dove imparavano a diventare perfetti terroristi professionisti. Meglio tanti terroristi improvvisati – conclude Orsini – che un solo terrorista ben addestrato».

CORRIERE.IT

 

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