ll terremoto a Ischia, la lezione ignorata del 1883 e la nascita dell’asse del voto abusivo
«Sulla scheda elettorale scrivi: “voto abusivo!”» Era davvero osceno lo slogan d’un manifesto affisso sui muri di Ischia per le Regionali del 2010. A quegli scriteriati autori, che il terremoto del 1883 fosse stato così catastrofico da spingere decenni dopo il grande Eduardo a inserire in «Natale a casa Cupiello» la famosa battuta «Ccà mme pare Casamicciola!» non importava tanto. E nella scia di Totò e della sua stralunata adunanza («Abusivi di tutto il mondo unitevi! Ci vogliono abolire! È un abuso! Abusivi: diciamo no all’abuso!») il Comitato per il diritto alla casa di Ischia e Procida, con sede appunto a Casamicciola, stampò quell’appello le cui parole, rilette oggi, gelano il sangue: «La politica dominante è morta! Dopo sessant’anni di coma vegetativo, ne danno il triste annuncio i cittadini “abusivi” tutti. Le esequie si terranno in forma privata presso i seggi elettorali…» Una protesta alla quale sarebbe seguito, per anni e anni, un tormentone di invocazioni e minacce, minacce e invocazioni perché fossero concesse nuove sanatorie, nuove deroghe, nuove interpretazioni di vecchi condoni.
Con una parte del peggior ceto politico napoletano e campano pronto a presentare nuovi progetti di legge per mettere una toppa ad abusi compiuti non solo a dispetto delle regole legislative ma del buon senso.
Il terremoto del 28 luglio 1883, come spiegano Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise nel volume «Il peso economico e sociale dei disastri sismici…», fu infatti un ammonimento impossibile da dimenticare: «Colpì con effetti distruttivi un’area molto limitata, corrispondente alla parte nord-occidentale dell’isola di Ischia, causando però un numero elevatissimo di vittime: complessivamente 2.333 persone. Di queste 625 erano turisti che al momento del terremoto (era la fine di luglio, in piena stagione estiva) si trovavano ospiti degli alberghi e delle ville nei centri più colpiti. (…) Casamicciola fu il centro più colpito: all’epoca aveva circa 4.300 abitanti ed era un rinomato centro balneare e termale. Il terremoto distrusse completamente la parte alta del paese e causò danni ingenti e crolli anche sul litorale. Dei 672 fabbricati esistenti, 537 crollarono e i restanti risultarono tutti inagibili». Il 79,9 per cento del patrimonio edilizio.
Colpa della natura? Solo in parte. Lo aveva già spiegato oltre un secolo prima Jean-Jacques Rousseau scrivendo del terremoto di Lisbona del 1755: «Dopotutto non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case…». E prima ancora, nel ’500, Francesco Guicciardini: «Sono adunque gli errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine della città; e se una città si governassi sempre bene, sarìa possibile che la fussi perpetua, o almeno avrebbe vita più lunga…».
Ha spiegato il vulcanologo Giuseppe Luongo, autore del libro «Ischia: storia di un’isola vulcanica» (1987), che la durissima lezione inferta a Casamicciola fu rimossa piuttosto in fretta: «Tutti i rioni baraccati si sono via via trasformati in quartieri in muratura. Senza alcun criterio». Reazioni della magistratura: inchieste a raffica. Reazioni della politica locale: insofferenza. Se non addirittura complicità. Due dati: alla vigilia del condono del 2003 il numero delle demolizioni eseguite sull’isola a partire dal 1988 risultavano essere 22. Ventidue! Su 2.922 ordinate dal giudice con sentenza esecutiva. Lo 0,75%. Tra mille lagne di troppi sindaci, assessori, galli e galletti della politica locale: «Si tratta di abusi di necessità!».
Sempre in quegli anni, gli ambientalisti denunciavano 26.000 abusi su 62.000 abitanti. Uno per famiglia. Certo, non parliamo di case illecite dalle fondamenta (quando ci sono) al tetto. Gli abusi sono spesso definiti «minori». Fatto sta che, dice nel 2017 l’ultimo rapporto di Legambiente, i cantieri fuorilegge hanno continuato a lavorare, lavorare, lavorare.
Al punto che le richieste di condono sono salite a 27.000. «Hanno costruito in prossimità di scarpate, di zone sismiche, di zone franose», si è sfogato per anni il giudice Aldo De Chiara, tenace nemico dell’abusivismo sull’isola. Eppure «c’è una coalizione di destra e sinistra contro le demolizioni. Io, magistrato indipendente, devo chiedere al sindaco di accendere un mutuo alla Cassa depositi e prestiti. Non so se è chiaro: devo passare attraverso il sindaco che magari ha fatto la campagna elettorale promettendo di non abbattere». Consapevolezza del pericolo: zero. «Evidentemente sperano nel buon Dio…». O nel cornetto di corallo portafortuna che il sindaco Luigi de Magistris vuole erigere grande e maestoso a testimoniare dell’approccio napoletano nei confronti dei rischi.
E guai a parlarne. Lo ricorda amaro un vulcanologo («niente nomi su questo punto, per favore») che pochi anni fa tentò di parlare della fragilità sismica e idrogeologica dell’isola proprio lì, a Ischia. Fu costretto ad abbandonare: «Hiiiii! Vogliamo portare jella?». Amarezze che capitano spesso, a chi cerca di spiegare le cose «prima». Finché arriva il momento in cui gli ignari vengono percossi dalla domanda che il geologo Annibale Mottana pose tempo fa all’Accademia dei Lincei, alla presenza del Presidente Giorgio Napolitano: «E voi, dove eravate?».
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