“La legge? Il pericolo è l’intellighentia che pensa solo al multiculturalismo”

L’ondata di attacchi terroristici che colpiscono l’Europa sembrano non scuotere più di tanto le coscienze delle leadership del Vecchio Continente, ormai più preoccupate delle conseguenze politiche che della sicurezza dei cittadini.

«Vivono in una torre d’avorio», dice Tony Capuozzo, reporter di guerra, esperto di terrorismo e conduttore tv Mediaset.

Emerge qualcosa di nuovo dall’attacco a Barcellona?

«L’elemento nuovo è che nessuno parla più di lupi solitari o persone instabili, in questo caso parliamo di una cellula di 12 uomini. Un gruppo di quartiere con coppie di fratelli, una generazione di europei o con doppia cittadinanza».

Lo Stato Islamico perde colpi in Iraq e in Siria ma le sue cellule si sono ben strutturate in Europa.

«Ho sempre detto che con il crollo dello Stato Islamico avremmo avuto un’armata di zombie in giro per il mondo. Era ampiamente prevedibile. Ormai è quasi impossibile raggiungere il Califfato e chi vuole combattere nel suo nome o per il proprio paradiso deve agire in Europa».

C’è qualche elemento in più che salta agli occhi in quest’azione terroristica?

«Tutti ricordano il gruppo di Amburgo, autore poi della strage dell’11 settembre, o il gruppo del quartiere Molenbeek di Bruxelles. Qui invece stiamo parlando di un paesino dei Pirenei non di un quartiere ghetto, questi non sono degli emarginati, ma hanno frequentato le scuole, avevano amici spagnoli e vivevano in un posto dove tutti si conoscevano. Altro elemento molto forte è il legame famigliare, questi sono cresciuti assieme, ma con la logica del clan. Se leggi poi i racconti dei parenti, li descrivono tutti come bravi ragazzi e c’è un’unica cosa che indica una sorta di deragliamento: la religione. C’è chi al ritorno in Marocco non stringe le mani alle donne, si mette a leggere il Corano, anche se non conosce bene l’arabo, e appende alle pareti della stanza versetti islamici».

Tutti dicono, come sempre, che non è la religione

«No, il solo elemento è la religione. L’unica loro integrazione era quella dei consumi: l’aperitivo, la moto, i jeans. Non c’era l’integrazione ai valori, alla democrazia. In questo deserto che è l’Europa loro hanno colto l’opportunità del lavoro, del consumo ma non i valori dell’Europa. E hanno riscoperto la mitologia del fondamentalismo, dove il martire non guadagna il paradiso solo per se stesso ma anche per i suoi parenti. Quindi è una rottura con i valori dell’Europa non con le famiglie, con cui non rompono i legami. E questo testimonia che l’integrazione era del tutto superficiale e che la religione è stata la chiave della loro scelta».

La nuova minaccia, con la prossima caduta del Califfato, sarà il rientro di circa 2mila foreign fighters. Bruxelles già mette le mani avanti: non si possono mica arrestare tutti.

«Non c’è ancora una cultura dei giudici sul fondamentalismo islamico. E poi molti pensano che arrestare tutti sarebbe una dimostrazione di bassa cultura giuridica».

Ma questi hanno commesso crimini orrendi.

«Ovviamente vanno arrestati e processati. Ma c’è già stato un dibattito in Spagna sul processare gli autori di crimini commessi in una terra di nessuno giuridica, come la Siria o l’Iraq. La soluzione potrebbe essere istituire una Corte internazionale, com’è avvenuto per l’ex Jugoslavia. Ma al di là di questo, i foreign fighters costituiscono una mina vagante, una minaccia reale».

Ti hanno impressionato le parole del rabbino di Barcellona che vorrebbe tornare in Israele.

«Al di là del significato religioso del ritorno per gli ebrei, Israele è un Paese sotto attacco e che si attrezza continuamente per rintuzzare le minacce. Israele è un Paese in guerra e sa di esserlo mentre l’Europa è una terra sotto attacco e pretende di non esserlo».

Si continua a far finta di nulla e a trattare le decine di attentati come se fossero delle stragi stradali. È mancanza di consapevolezza da parte della leadership europea?

«Non è inconsapevolezza è la reazione di chi sta in una torre d’avorio. I terroristi non colpiscono le istituzioni, i premier, i parlamentari, ma la gente comune. E le reazioni dei cittadini obbligano i politici a delle dichiarazioni rituali, che sono le fotocopie delle volte precedenti, dei coccodrilli come diciamo noi. E questo perché la questione non li tocca direttamente».

Non si sentono minacciati, insomma.

«Si sentono minacciati solo dal punto di vista della presa elettorale. Basta guardare le reazioni, non sono improntate a un’indignazione vibrante ma solo al timore che queste azioni terroristiche possano dare adito al populismo, al razzismo, al rafforzamento di Salvini».

E il governo italiano che, all’indomani degli attentati, ha rivendicato la necessità dello ius soli?

«C’è un intellighentia che pensa per prima cosa al multiculturalismo e ai pericoli che potrebbe correre. A Barcellona hanno colpito una città multiculturale, aperta, antirazzista e c’è chi crede che sia questo il valore da difendere e non la sicurezza. Quindi una reazione politica».

Si può continuare a parlare di Islam religione di pace?

«L’Islam è la religione della spada non dell’acqua santa e questo si legge nel Corano. Certo, ci sono milioni di musulmani pacifici e non violenti, ma da questo a sostenere che l’Islam non sia una religione suprematista ce ne vuole. Non esiste impegno per il prossimo perché il prossimo è l’infedele».

L’Europa continua a dare segni di cedimento verso l’Islam radicale. È un processo irreversibile?

«Non sono ottimista, l’andamento demografico non è confortante e neppure quello culturale. Non vedo un rinascimento. Vedo un’Europa tremebonda e rassegnata, a volte entusiasticamente rassegnata».

IL GIORNALE

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