Roma, il pasticciaccio brutto dell’Atac Tutti i dubbi sul supermanager M5S

Non deve sentirsi invidiato, al mattino quando si reca al lavoro: né dai suoi collaboratori, né dai manager di aziende normali quale un tempo era anche lui. Paolo Simioni, nato a Valdobbiadene in provincia di Treviso poco meno di 57 anni fa, ha appena ricevuto uno degli incarichi più apparentemente donchisciotteschi d’Italia. Deve risanare Atac, la società del trasporto pubblico locale di Roma che versa in crisi finanziaria e di liquidità con oltre 1,3 miliardi di debiti, dopo un decennio (quasi) ininterrotto di bilanci in rosso. A Simioni, un laureato in ingegneria civile con il massimo dei voti, non manca l’esperienza alla testa di aziende complesse.

Soprattutto quando queste si trovano alla frontiera fra il settore pubblico e il mercato. Per anni è stato amministratore delegato di Save, la società a partecipazione pubblica che controlla gli aeroporti di Venezia, Treviso e Verona. Prima ancora, in alleanza con Ferrovie dello Stato, ha guidato Centostazioni Spa. È questa sua storia, a quanto sembra, ad avergli guadagnato il rispetto di figure determinanti del Movimento 5 Stelle come Davide Casaleggio e lo stesso Beppe Grillo. Ma con Atac né il curriculum né gli sponsor possono bastare. Per ridare ossigeno all’azienda del Comune di Roma – magari attraverso un parziale, ordinato e legale default sul debito – serve tutta l’influenza possibile. Simioni ha fatto passi avanti: il 31 luglio Virginia Raggi, il sindaco pentastellato di Roma, l’ha nominato nuovo presidente e amministratore delegato di Atac. Dall’esterno, un giornale che segue M5S senza ostilità preconcetta come Il Fatto Quotidiano ha visto nella sua nomina una mossa dei leader nazionali del movimento («Casaleggio governa Roma da Milano», è il titolo del primo agosto scorso).

All’interno dell’azienda la carica di presidente e amministratore delegato ha però un valore preciso: può gestire con la sua firma un concordato preventivo che porti a un accordo con i creditori. Si tratta del potere che era mancato a Bruno Rota, il quale da marzo a luglio aveva gestito Atac come direttore generale prima di dimettersi. Quindi il 10 agosto Simioni si rafforza ancora di più, perché il consiglio di amministrazione dell’Atac lo nomina anche al posto che era stato di Rota: direttore generale. Ora il manager ha tutti i poteri. Resta una domanda: è legale? Rispondere con certezza è impossibile perché l’Anac, l’autorità anti-corruzione guidata da Raffaele Cantone, non si è pronunciata né risulta sia stata consultata dal comune di Roma o dall’azienda. Ma la normativa non sembra dalla parte di Simioni, in particolare quella legata alla più recente legge anti-corruzione. Uno dei decreti di quel pacchetto, il 39 approvato l’8 aprile del 2013, all’articolo 12, comma primo proibisce il cumulo di altre poltrone da parte di un presidente e amministratore delegato di una società di proprietà di un comune. Si legge: «Gli incarichi dirigenziali negli enti di diritto privato in controllo pubblico sono incompatibili con l’assunzione o il mantenimento della carica di presidente e amministratore delegato nello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico». Insomma non si può fare allo stesso tempo il presidente (o amministratore delegato) e il dirigente. Poco sotto poi si precisa: «Gli incarichi dirigenziali (…) sono incompatibili con la carica di componente degli organi d’indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico di comuni di oltre 15.000 abitanti». Non si può sedere in consiglio d’amministrazione ed essere dirigente della stessa società pubblica.

Si potrebbe sospettare che esistano eccezioni, ma non pare sia così. Un parere del 2014 della Civit, la stessa commissione per la trasparenza di recente ribattezzata Anac, è chiaro: è proibito essere sia dirigenti che amministratori delegati di una municipalizzata. Né chiaro perché Atac, Raggi e Simioni abbiano rischiato una violazione così vistosa delle norme anti-corruzione. Di certo Simioni fino al mese scorso guadagnava 240 mila euro lordi l’anno – il massimo possibile nel settore pubblico – con il suo incarico di «coordinamento» delle partecipate del comune di Roma. Invece il ruolo di presidente dell’Atac valeva solo 79 mila euro. Solo un incarico da direttore generale poteva permettere a Simioni di risalire con i compensi fino a 240 mila, anche se in un’Atac vicina al default. Ma è impossibile sapere con certezza quali sono i compensi del manager veneto: a varie richieste in proposito ieri in pieno orario di ufficio, l’Atac non ha mai risposto.

CORRIERE.IT

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