Stoltenberg: “A Napoli un ombrello Nato per aiutare la Ue sui migranti”

marco zatterin
inviato a rimini

Un ombrello contro il terrorismo globale e una base navale, o un hub per farla breve, a Napoli per dare una mano all’Europa a gestire il dramma delle migrazioni. «La Nato ha sempre avuto una spiccata propensione ad adattarsi al cambiamento», assicura Jens Stoltenberg, l’ex premier norvegese che da tre anni guida il Patto Atlantico. Finita la Guerra Fredda, c’è stato il terrorismo, poi i conflitti asimmetrici, quindi la minaccia «cyber» che arriva dalla grande rete. L’Alleanza argomenta il rinnovamento con la divisione «Intelligence» organizzata nel quartiere generale di Evere, ma è un’estensione più che una nuova vita. La vecchia minaccia ancora lì. «I russi si sono fatti più assertivi – ammette il segretario generale -. Hanno consolidato le capacità militari, le esercitazioni sono più frequenti: per questo, nella doppia linea di “Difesa e dialogo”, abbiamo risposto rafforzando significativamente la difesa collettiva a Est».

 

Stoltenberg sbarca in Italia, al Meeting di Rimini, nel giorno del 68° compleanno della Nato. C’è tempo per una bilaterale col ministro Alfano per parlare soprattutto di Libia poi l’incontro col pubblico di Cl. L’occasione non è casuale. Il 5 settembre decolla l’Hub per il Sud, all’ombra del Vesuvio e con guida italiana. Stringe sulla vigilanza mediterranea, in chiave migranti e oltre. «Sosteniamo gli sforzi dell’Ue – concede Stoltenberg –. Lo abbiamo fatto nell’Egeo per agevolare l’accordo con la Turchia che ha tagliato i flussi dei rifugiati. Ora siamo nel Mediterraneo centrale con la missione “Sea Guardian” e collaboriamo con “Sophia”».

 

In che modo?

«Abbiamo navi, aerei e sottomarini nella zona. Forniamo supporto logistico e di informazione all’Ue, sebbene quella delle migrazioni sia una responsabilità europea e non direttamente nostra».

 

La base di Napoli diventerà centrale per seguire i flussi dei disperati che fuggono dalle guerre e dalla povertà?

«Uno dei suoi compiti è certamente questo: migliorare il modo in cui capiamo e analizziamo la situazione nell’Africa del Nord e nel Medio Oriente. Consente di affrontare in modo completo le sfide che si profilano, terrorismo compreso».

 

Eccolo, l’antiterrorismo globale. Qual è il vostro ruolo?

«È importante, del resto sono molti anni che siamo impegnati. La nostra più grande operazione militare è in Afghanistan, dove la presenza italiana è di punta. Ci siamo andati per impedire che il Paese fosse un porto sicuro per il crimine internazionale, per evitare il ripetersi di eventi come l’11 settembre. Ora siamo nella Coalizione Globale che combatte l’Isis; e in Giordania, Tunisia e Libia per aiutare questi Paesi a ritrovare la stabilità che serve alla sicurezza. Formare le forze locali è una delle nostre armi migliori per combattere il terrorismo».

 

Armi tradizionali con un nemico poco convenzionale.

«La nostra attività d’avanguardia è la raccolta e la condivisione di Intelligence. Abbiamo creato una divisione per trattare e comprendere le informazioni segrete, anche per opporci al terrorismo. La realtà è che la lotta al Califfato richiede molti e diversi strumenti, dalla prevenzione della radicalizzazione all’attività di polizia per scovare e seguire i terroristi. Occorrono misure diplomatico-economiche per risolvere i conflitti. Ma anche mezzi militari per combattere Al-Qaeda e Isis, in Afghanistan e Siria».

 

Potreste essere lo snodo per l’Intelligence della Difesa?

«Lo siamo! Abbiamo anche una nuova cellula per seguire i jihadisti e tutto il resto. Il terrorismo non può essere considerato una “cosa normale”. C’è chi pensa che sia una sfida impossibile da vincere. Lo abbiamo fatto negli Anni 70. Lo rifaremo adesso».

 

Sarete una Fbi Atlantica?

«Non userei questo concetto. Però direi che l’Intelligence è certo diventata più importante nella nostra strategia».

 

Parliamo di Russia. È una nuova Guerra Fredda?

«La Nato non vuole il confronto, tanto meno una nuova Guerra Fredda. La Russia è il nostro vicino più grande. Il nostro approccio va a due carreggiate, difesa e dialogo. Finché siamo forti e uniti possiamo parlare con Mosca e ridurre le tensioni, anche per evitare incomprensioni ed errori che potrebbero andare fuori controllo. Se fosse, il contesto diventerebbe davvero difficile».

 

Ci sono i russi dietro gli hackeraggi nei Paesi occidentali a cui assistiamo regolarmente?

«Gli attacchi “cyber” sono cresciuti. Molto. Nel 2016 i tentativi di interferire coi nostri sistemi sono saliti del 60%. Molti alleati ritengono dietro ci sia Mosca. Ma ci sono anche altri mandanti. Abbiamo alzato le difese e il “cyber” è diventato zona militare. Cielo, terra, mare e cyber!».

 

Siete schiacciati fra la nuova dottrina Trump, Putin l’assertivo e l’Europa che vuol farsi la difesa in casa. Difficile?

«Il progetto dell’Ue, complementare con la Nato, non può che rafforzarci ed è benvenuto. Quanto a Trump, è un presidente eletto come gli altri dell’Alleanza. Fra noi tutti possono esserci delle differenze, ma abbiamo dimostrato che l’obiettivo della difesa collettiva non è mai stata messa in dubbio. Trump ha confermato l’impegno, con le parole e con i fatti che pesano ancora di più. E per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, la presenza statunitense in Europa è aumentata».

 

L’Italia partecipa all’operazione sui confini orientali. Le hanno promesso di aumentare il contingente?

«Non per ora. Gli italiani saranno nella forza multinazionale in Lettonia. Inoltre hanno dei caccia sui cieli bulgari e nel 2018 verrà il comando della forza comune di rapido intervento. Un segnale forte».

LA STAMPA

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