Pyongyang: “Missile sul Giappone solo preludio, ora puntiamo su Guam”

dal nostro corrispondente ANGELO AQUARO

Missile sul Giappone, i numeri e la portata della minaccia nordcoreana

La retorica del leader duella con quella tutta “fuoco e fiamme” di Donald Trump, che insiste: “Tutte le opzioni sono sul tavolo”, quindi anche quella militare. Ma il Giovane Maresciallo dosa le parole come i missili che dall’inizio dell’anno ha distribuito di mese in mese fino a raggiungere martedì mattina la temibile soglia del numero 18. Certo: silenzio sui media del Nord sul fallimento, qualche giorno prima, del triplice lancio dei missili a corta gittata, due volati solo per 250 chilometri e il terzo esploso. Ma adesso che il razzo a medio raggio fa paura al mondo, sorvolando per la prima volta dal 2009 uno stato straniero, il Rodong Sinmun mostra in technicolor la potenza del regime, e il leader stesso annuncia che “questo lancio balistico è un anticipo significativo dell’arginamento di Guam, la base avanzata dell’invasione”. Ci risiamo? Torna la minaccia di “circondare di fuoco” l’isola americana nel Pacifico, visto che mai il regime si spinge a dire di essere pronto a colpire direttamente l’avamposto: sarebbe la sua fine, e probabilmente – per usare le sue stesse parole – il “preludio” anche a quella del mondo. Ma il problema adesso è: come fermarlo?

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La “forte condanna” del Consiglio di sicurezza dell’Onu alla “vergognosa” azione è arrivata puntuale come i missili di Kim, e all’unanimità fra tutti i 15 membri, anche se non ha imposto nuove sanzioni: Cina e Russia, che hanno diritto di veto, le bloccherebbero, riconoscendole solo per punire i test a lungo raggio. L’impegno è dunque quello per una “soluzione pacifica, diplomatica e politica”. E dov’è dunque quell'”azione seria” che reclama l’ambasciatrice Usa Nikki Haley, sostenendo che “quando è troppo è troppo”?

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Pechino e Russia sono preoccupati per la corsa ai sistemi antimissili, naturalmente made in Usa, che dalla Corea del Sud, già dotata del contestatissimo Thaad, arriva fino al Giappone, dove ieri il sistema J-Alert è finito sotto accusa: va bene l’allarme sui telefonini e l’invito a salvarsi chi può, ma Tokyo adesso ha davvero paura. E non è un caso che poche ore dopo il brivido di Hokkaido, anche i giapponesi hanno dato il via alle prime esercitazioni, già precedentemente programmate, per le prove di funzionamento del sistema antimissile ASDF di Patriots.

Il missile di Kim cade infatti nel bel mezzo di un dibattito che divide il Giappone. Il premier Shinzo Abe sta cercando di cambiare la costituzione pacifista per permettere a Tokyo di armarsi – magari anche di quella stessa atomica di cui, unica nazione al mondo, porta ancora le stimmate: e intanto di difendersi con un altro sistema ancora, sempre americano, Aegis Ashore, che il governo ha promesso di acquistare. Il web di lì si scatena: perché non abbiamo abbattuto quel maledetto missile, come funzionano i nostri sistemi di difesa? Fosse semplice. Il comando Usa nel Pacifico assicura di averlo “seguito” per tutta la traiettoria, ma un missile lo abbatti se vedi che ti cade addosso: se ti sta passando sopra puntando oltre, e lo fai, ti ritrovi già in guerra.

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La faccia di Abe in tv dopo che il missile gli era passato sulla testa era visibilmente, e comprensibilmente, tesa: al telefono con lui per 40 minuti, Trump gli assicura che l’America sosterrà il Giappone “al 100 per 100”. Ma è la stessa espressione usata quando l’ha ricevuto in Florida, a maggio, all’inizio del mandato, e Kim ha esploso il primo missile dell’anno. Il Giappone annuncia dunque sanzioni unilaterali, già promosse dagli Usa un paio di settimane fa. La Russia dice invece che il lancio di martedì è la prova che non funzionano neppure quelle dell’Onu: occorre qualcosa che porti a uno scambio con Kim. Anche la Cina condanna le sanzioni unilaterali, e qualcosa che porti a uno scambio ce l’ha in mente da tempo, e lo ripete: “Suspension for suspension”, americani e sudcoreani fermino le esercitazioni congiunte e i nordcoreani fermino i test.

Il Dottor Stranamore di Pyongyang continua a dirlo: il lancio sopra il Giappone, “che non ha recato alcun rischio ai paesi vicini”, è stato condotto come “prova di forza per contrastare le esercitazioni Ulchi Freedom Guardian”. La Corea del Nord le considera prove di invasione, e sono in programma fino a giovedì: siamo ancora in tempo allora per un altro test da brivido, che naturalmente può arrivare anche dopo, secondo la volontà del Giovane Maresciallo. Un missile verso Guam? O il test atomico per perfezionare la bomba da montare su un vettore intercontinentale capace di arrivare fino agli Usa?

L’unica buona notizia arriva proprio dall’altra parte del Pacifico. Trump si sarebbe deciso, dopo 6 mesi di vuoto, a nominare il nuovo ambasciatore a Seul. È Victor Cha, esperto di Corea del Nord e già parte della delegazione che negli anni scorsi provò a mediare con Kim. Altro che “fuoco e fiamme”: questo sì che sarebbe un colpo sparato a dovere, questo sì che potrebbe essere il vero “preludio” non verso l’inferno del fuoco intorno a Guam ma magari del limbo del dialogo in cui tutto il mondo non vede l’ora di rifugiarsi.

REP.IT

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