Banche, il caso Popolare di Bari fa tremare la Puglia e 70mila azionisti: indagati i vertici

di MARA CHIARELLI

Regge  da sola un pezzo importante dell’economia della città di Bari e della Puglia. Ha garantito prestiti a migliaia fra imprese e famiglie, può contare su 70mila soci e sul lavoro di 3.500 dipendenti. La Banca Popolare di Bari non può crollare: se ciò accadesse, i danni per l’economia regionale sarebbero incalcolabili. Ma una nuova inchiesta della Procura barese racconta anni di gestione irregolare, bilanci in perdita, prestiti anomali, aggravati dall’acquisizione di Tercas, la vecchia Cassa di Teramo. E sullo sfondo, una vicenda di maltrattamenti ed estorsione ai danni di un funzionario troppo solerte.

È questo il ritratto della Banca popolare di Bari, come emerge appunto dalla nuova indagine affidata ai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria e che è già arrivata a un primo step: i vertici del più grande istituto di credito del Sud sono finiti per la prima volta nel registro degli indagati e con accuse pesanti. Il presidente Marco Jacobini, l’allora direttore generale Vincenzo De Bustis, già amministratore delegato di Monte dei Paschi di Siena e Deutsche Bank, i due figli di Jacobini, Gianluca e Luigi (rispettivamente condirettore generale e vice), il responsabile della linea contabilità e bilancio della popolare Elia Circelli, il dirigente dell’ufficio rischi Antonio Zullo.

Sono tutti, a eccezione di De Bustis, indagati per associazione per delinquere, truffa, ostacolo all’attività della Banca d’Italia e false dichiarazioni nel prospetto informativo depositato alla Consob. A carico di Marco Jacobini e dei suoi due figli anche i reati di concorso in maltrattamenti ed estorsione. De Bustis, invece, è accusato solo di maltrattamenti. La vicenda, finita sul tavolo del procuratore aggiunto Roberto Rossi, riguarda un arco temporale che va dal 2013 al 2016, quando le irregolarità nascoste nei bilanci dell’istituto di credito sono state svelate da una gola profonda: un funzionario incaricato di mettere a posto le carte nell’ufficio rischi, ma che avrebbe esagerato, evidenziando ai vertici le irregolarità emerse durante la sua attività.

Le sue segnalazioni, che riguardavano in buona parte la fase dell’acquisizione di Tercas, non sarebbero state gradite, al punto che sarebbe stato prima mobbizzato e poi licenziato in tronco. Il provvedimento però non ha fermato il bancario, che si è presentato in Procura snocciolando numeri e fatti, raccontando tutto quello che riteneva illecito, prima di avviare contro di loro un procedimento parallelo per mobbing. Era dicembre scorso e i finanzieri che già indagavano sulle attività anomali del più grande istituto di credito del Sud hanno trovato riscontri a ipotesi già emerse durante l’esame delle carte sequestrate durante un’altra indagine già aperta con l’ipotesi di reato (a carico di ignoti) per ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, quella coordinata dai pm Lydia Giorgio e Federico Perrone Capano.

Nello stesso periodo in cui la gola profonda raccontava, gli investigatori perquisivano le tre sedi baresi, portando via documenti utili a ricostruire “il rilascio di linee di credito, in via diretta o indiretta, con l’acquisto di azioni”.

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