Pensione minima ai giovani con assegni fino a 680 euro
Con i pochi soldi disponibili, grandi cambiamenti non sono possibili. Dopo il vertice tra governo e i leader di Cgil-Cisl-Uil, per quanto riguarda i lavoratori più anziani e vicini al pensionamento, infatti, l’Esecutivo ha chiuso alla possibilità di bloccare l’ìnnalzamento automatico dell’età pensionabile, che dal 2019 aumenterà di 9 mesi rispetto agli attuali 66 anni e 7 mesi di età. C’è qualcosa – ma molto poco – invece per i giovani con carriere discontinue e lavori precari, quelli che in molti casi potranno andare in pensione solo a 70 anni e con assegni previdenziali modesti. Nell’incontro di ieri il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha illustrato un meccanismo che faciliterà un pochino i giovani «discontinui» che hanno cominciato a lavorare dopo il 1996 (cioè interamente nel sistema contributivo) nell’impresa di andare in pensione a 68-69 anni. E soprattutto, permetterà loro di avere un assegno previdenziale minimo di 650-680 euro. Meglio di niente, ma certo nulla per cui vale la pena di stappare lo champagne.
La proposta come detto riguarda i giovani «discontinui», che oggi possono andare in pensione prima dei 70 anni e con 20 anni di contributi solo se maturano un trattamento pari a 1,5 volte l’assegno sociale (oppure a 63 anni, ma se hanno maturato una pensione «ricca» di 1300 euro, 2,8 volte l’assegno sociale). Il primo intervento è la riduzione del criterio minimo, da 1,5 a 1,2 volte l’assegno sociale. Il secondo è invece l’innalzamento dal 33 al 50% della possibilità di cumulare assegno sociale e pensione contributiva. Con le maggiorazioni sociali, si arriverebbe a una pensione minima di 650-680 euro al mese.
Su questo intervento i sindacati si sono detti sostanzialmente favorevoli, pur riservandosi delle valutazioni più puntuali. Critiche invece sono arrivate al sostanziale «no» del governo sulla questione del meccanismo automatico dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Per il leader Cgil Susanna Camusso «c’è un’ampia reticenza da parte del governo a dire che la questione è all’ordine del giorno. Abbiamo ribadito con nettezza che per noi è fondamentale superare un meccanismo che pesa due volte in termini di allungamento dell’età e abbassamento dei rendimenti». Sulla pensione dei giovani precari torna invece l’ex ministro Pd Cesare Damiano: «al tempo del Governo Prodi – spiega – avevamo individuato nei contributi figurativi in caso di disoccupazione, nell’accesso più favorevole al riscatto della laurea e nella lotta al lavoro precario, gli strumenti cardine per conseguire l’obiettivo di una pensione adeguata». Insomma, la proposta di Poletti va nella giusta direzione, ma non basta.
Il confronto con il governo comunque prosegue. È stato «un incontro utile, in un clima positivo, con l’impegno a continuare», ha sottolineato Poletti. I prossimi appuntamenti sono fissati per il 5 settembre (sui temi del lavoro), il 7 e il 13 settembre (ancora sulle pensioni). Ma «entro la fine del mese di settembre e, comunque, prima della presentazione della legge di bilancio bisogna arrivare ad un risultato», ha avvertito il leader della Uil, Carmelo Barbagallo. Per la Cisl, come ha detto il segretario confederale Maurizio Petriccioli, si tratta di «ipotesi positive ma ancora non sufficienti per tenere insieme il necessario ripristino delle condizioni di flessibilità con il tema dell’adeguatezza dei trattamenti pensionistici».
Altro capitolo al centro del confronto quello della previdenza complementare, con l’ipotesi di incentivare la Rita, la Rendita integrativa temporanea anticipata, anche con la detassazione. E di consentire che la pensione integrativa possa fare da reddito ponte per chi vuole uscire prima (oggi questo vale solo all’interno dell’Ape social).
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