Facile dire profughi Il libro della studiosa che smonta le bufale

In Senegal il Pil cresce a ritmi del 6,6%, circa cinque volte l’Italia, non c’è nessuna guerra, la democrazia è tra le più stabili del continente ed è considerato «la nuova potenza economica dell’Africa occidentale».

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Dovrebbero essere gli italiani a sbarcare coi gommoni sulle coste di Dakar, invece accade il contrario. Il Senegal è tra i primi dieci paesi di provenienza dei migranti, 7.610 i richiedenti asilo senegalesi solo nel 2016 (senza contare quelli che non hanno inoltrato la domanda). La Nigeria, paese d’origine del maggior numero di richiedenti asilo, è il maggior produttore di petrolio di tutta l’Africa. Perché allora partono verso l’Italia da «profughi» di paesi non in guerra ed economicamente in crescita?

La risposta spiega molto del fenomeno «sbarchi», fuori dalla propaganda di regime che vuole spacciarli per disperati in fuga dalla morte, come illustra in un libro illuminante (Migranti!? Migranti!? Migranti!?, Edizioni Segno) Anna Bono, già ricercatore in Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Torino. «Come sostiene Souleymane Jules Diop, il ministro dei senegalesi all’estero, a partire sono ragazzi e uomini con una posizione sociale ed economica discreta e addirittura invidiabile: insegnanti, impiegati pubblici, persino docenti universitari, il che fa dire al ministro: Qui la gente non parte perché non ha niente, se ne va perché vuole di meglio e di più». Fuori dalla retorica interessata, il fenomeno migratorio è ben diverso. Intanto, dimostra la Bono, l’Italia è diventata il ventre molle della Ue rispetto all’immigrazione, contrariamente alla propaganda che vuole far credere che mentre gli altri paesi europei sono ospitali, gli italiani sono egoisti. Dal 2016, con la chiusura della rotta balcanica, i migranti arrivano tutti in Italia e molti si fermano qui: «Da allora le imbarcazioni cariche di emigranti si dirigono quasi tutte alla volta dell’Italia, partendo dalla Libia, ma anche da Egitto, Algeria e Tunisia. Nel mese di luglio 2016, ad esempio, il 93% dei nuovi arrivati in Europa è approdato sulle coste italiane. Quello dell’emigrazione illegale è diventato un problema soprattutto italiano».

Rifugiati? Non proprio. «Su cento che sbarcano in Italia, solo quattro saranno riconosciuti come profughi o rifugiati. Gli altri? Sono tutti migranti economici». L’identikit del migrante medio spiega molto: «Gli immigrati arrivati in Italia negli ultimi due anni provengono in gran parte dall’Africa e sono per lo più dei maschi giovani. Il 90% dei richiedenti asilo sono africani di età compresa tra 18 e 34 anni, i maschi sono circa l’87%. Si vedono ormai dappertutto e a ogni ora del giorno: ragazzi ben vestiti, disinvolti, spesso con uno smartphone in mano, molti in bicicletta. Provengono dall’Africa subsahariana, lasciano situazioni non drammatiche e disperate inseguendo un miraggio, il Bengodi, come chiamano loro l’Italia».

Dal 2014 a oggi solo due o tre dei paesi africani, tra i 17 stati di provenienza degli immigrati, si può considerare a rischio, tanto da giustificare una domanda di asilo politico. Gli altri no. Però partono, diretti verso l’Eldorado Italia, convinti che «siano terre di abbondanza e benessere, talmente ricche, sicure e traboccanti di ogni ben di Dio che basti raggiungerle per goderne, risolvere ogni problema, realizzare le proprie aspirazioni». Questa convinzione deriva, spiega la professoressa, dall’esperienza degli europei con cui entrano in contatto in Africa: «Se lo stile di vita degli europei che lavorano in Africa di solito è grandioso, quello dei turisti è addirittura sfarzoso». Poi, a rafforzare l’idea che una volta sbarcati nella ricca Europa si è sistemati a vita, «c’è il flusso immenso e inesauribile di risorse che da decenni arrivano dall’Europa, dall’Occidente». E infine l’esperienza di chi ce l’ha fatta e manda i soldi a casa, ai parenti. «Senza dubbio un famigliare emigrato è una fortuna. Così prende forma il progetto di mandare un parente giovane a lavorare all’estero».

Come si blocca l’esodo? Intanto, prendendo ad esempio le misure di controllo più rigide, come ha fatto la Spagna. Ma bisogna agire anche sulle cause che convincono gli africani a partire. Per quelli arrivati, invece, la soluzione potrebbe essere un inventivo a tornarsene a casa: «L’emigrante economico ha riposto molte speranze a alimentato molte aspettative nella sua famiglia, nel tessuto sociale in cui ha vissuto – spiega la Bono -. Tornare sconfitto è molto difficile. Per questo credo che pensare a un contributo a chi vuole rientrare nel proprio Paese sarebbe una cosa utile. Eviterebbe la condanna sociale e consentirebbe un reinserimento del migrante. E costerebbe meno che ospitarlo qui, senza potergli offrire nulla per il suo futuro».

IL GIORNALE

 

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