Alloggi pubblici in preda agli abusivi: ecco il racket delle case
Ma possiamo considerarli mafia?». La domanda più grave se l’è posta il commissario straordinario dell’Ater di Roma, Giovanni Tamburino: magistrato dalla storia lunga, da due anni calato nella trincea delle case popolari. In un’audizione di qualche mese fa, pensando a capibastone, vedette e «zone franche», Tamburino s’è anche dato una risposta: sì, da Torrevecchia a Tiburtino III (teatro degli ultimi scontri con i migranti), da Tor Sapienza a Tor Bella Monaca e San Basilio, passando per un’altra mezza dozzina di borgate, i racket delle occupazioni hanno mutuato modi e forme dei clan.
Da Palermo al Nord
Del resto Leoluca Orlando, che con i veri clan mafiosi è da sempre alle prese nella sua Palermo, s’è lasciato sfuggire come l’alternativa a qualche «condono» («termine che non appartiene alla mia cultura») sia che «le truppe dell’Onu ci aiutino a sgomberare 4.000 alloggi»: parlava dello Zen, sinonimo di illegalità quasi assoluta (le occupazioni abusive toccano il 90 per cento) nella Sicilia occidentale. L’idea di sanare ciò che non si può sanzionare lo accomuna, forse non a caso, al sindaco dell’altra grande città meridionale, il napoletano Luigi de Magistris: «Aiuteremo anche l’occupante per necessità che si vuole mettere in regola… ci sono i condoni». Gli stranieri s’adeguano in fretta alla nostra rilassata anomia, diventando utenti quando non partner. Lo ha dimostrato a Roma la via Curtatone degli eritrei e degli etiopi accanto ai movimenti per la casa capitolini, lo dimostra a Milano via Civitali, zona San Siro, dove la metà degli appartamenti d’un palazzo dell’Aler è occupata da abusivi che vengono tutti dallo stesso paesino egiziano: forse non proprio per una bizzarra casualità. La mappa delle case popolari espugnate disegna la disunità d’Italia. Secondo Federcasa (che raggruppa aziende di edilizia residenziale pubblica come appunto Ater e Aler), su circa 800 mila alloggi sono quasi 49 mila quelli occupati. Ma, attenzione, con grandi differenze tra Nord e Sud. Al Nord è localizzato il 45 per cento degli alloggi, di cui solo l’11 per cento occupato abusivamente. Al Centro e soprattutto al Sud, nel restante 55 per cento, la quota delle occupazioni irregolari schizza quasi all’89 per cento. Di queste, l’81 per cento implica l’uso della forza. Tra il 2004 e il 2013 le occupazioni sono aumentate del 20 per cento, con un picco tra il 2011 e il 2013, quando gli «tsunami tour» degli antagonisti invadevano anche cinque o sei palazzi alla volta. «C’è una massa di gente che ha trovato soluzioni con regole diverse da quelle dello Stato, fino a diventare un altro Stato», sostiene Andrea Causin, deputato di Forza Italia e presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle periferie. Proprio negli atti della bicamerale è raccolta una mole di dati enorme sulle occupazioni. Perché in gran parte case popolari e periferie coincidono. Intrecciate da basso livello di servizi, degrado e mancanza di visione.
«Bomba sociale»
A gennaio, Franco Gabrielli ha citato alla Commissione l’esempio «paradigmatico» di Tor Bella Monaca: la caduta verticale del quartiere dagli anni Ottanta, l’incrocio tra stranieri e pregiudicati italiani alle «Torri», palazzi occupati e centinaia di destinatari di misure di prevenzione, insomma un’unica grande bomba sociale, simile del resto alle altre tre periferie romane ad alto rischio secondo il capo della Polizia: San Basilio, Tor Sapienza e Ponte di Nona. Gabrielli rivendica allo Stato il risultato di 54 palazzi sgomberati in tutt’Italia, il calo da 111 a 101 occupazioni nella sola Roma (ora scese ancora, a 99), 12 arresti e 381 denunce nel 2016. Senza nascondere un’amarezza. Lasciando la poltrona di prefetto, aveva indicato una «short list» delle 14 occupazioni più «problematiche»: «Mi risulta che questa situazione come l’ho lasciata, così si trovi».
L’assenza della politica
La campana suona per i politici. Tutto è politica. Dovrebbero esserlo le soluzioni. Lo è l’assenza. Riempita da presunti boss cacio e pepe come «Pina», «zio Carlo» e gli altri bravi ragazzi del «Comitato popolare lotta per la Casa» a processo dal 2016. Il pm scrive che s’ispiravano a «valori propri dell’ideologia della sinistra antagonista»: ma a chiacchiere. L’accusa pensa che Pina e gli altri spacciassero per ragioni del cuore quelle del portafoglio. Le stesse che talvolta, su una barricata opposta solo in apparenza, si maschererebbero perfino da infamie razziste. Un parroco di San Basilio ha raccontato come dietro la cacciata di una famiglia marocchina da una casa Ater al grido di «via i negri!» non ci fosse la xenofobia ma il racket. Che non può permettersi di «perdere la faccia» lasciando entrare inquilini regolari al posto degli abusivi. Il problema di Mourad, Fatia e dei loro bimbi non era, insomma, la pigmentazione ma la documentazione: in perfetta norma. Uno stigma insopportabile nella terra dell’altro Stato.
CORRIERE.IT
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