All’armi son fascisti
In questi giorni mi sono sentito dare più volte del fascista per via dello spazio che stiamo dedicando sul giornale agli episodi di cronaca – occupazioni, stupri, rivolte – che vedono coinvolti gli immigrati.
In effetti i giornali che rappresentano il mondo politico e culturale da cui partono queste critiche – il nuovo polo editoriale unico della sinistra salottiera tra La Repubblica e La Stampa – fanno a gara a nascondere i fatti di nera che vedono protagonisti gli immigrati. Ieri sulle loro prime pagine non c’era traccia dei nuovi casi di stupro a Rimini, Milano e Desio, solo scarni e incompleti resoconti all’interno (nell’articolo della Stampa non è citata neppure la nazionalità marocchina degli aggressori). Grande spazio i due quotidiani dedicano invece ad appelli di politici e prelati a non alimentare odio e razzismi, un’ossessione che i loro lettori, non conoscendo i fatti censurati dal giornale che stanno leggendo, potrebbero addirittura trovare eccessiva e incomprensibile.
Facciamo subito chiarezza. Primo, noi non odiamo gli immigrati, semplicemente troviamo odioso – e lo scriviamo a caratteri cubitali – che un uomo, di qualsiasi colore sia la sua pelle, stupri una donna. Riteniamo però molto pericoloso che una politica dell’accoglienza fuori controllo abbia prodotto l’effetto che, a differenza degli stupratori italiani, quelli immigrati il più delle volte non sappiamo chi siano e dove andarli a prendere per assicurarli alla giustizia, perché oltre che delinquenti sono fantasmi, spesso protetti dalla loro stessa comunità che a differenza delle nostre non considera la violenza sulle donne un reato grave e odioso.
Secondo. Non siamo razzisti, banalmente pensiamo che senza legalità non ci possa essere uguaglianza, solidarietà, democrazia e libertà. La legalità, come ha scritto di recente persino la Gabanelli, non è di destra né di sinistra, né bianca né nera. O è o non è. E se non è – come nel caso dei flussi immigratori che abbiamo subito e non governato – sono guai per tutti e dirlo è un dovere. Per intenderci, siamo fieri degli atleti di colore che vestono le maglie delle nostre nazionali e guardiamo con ammirazione e rispetto le tante ragazze straniere che studiano nelle nostre scuole e università anche se consideriamo ridicolo che una bellissima ragazza di colore vinca Miss Italia, come successo anni fa, perché sarebbe come dire che l’ottimo kebab rappresenta il meglio della cucina italiana nel mondo.
Terzo. Non siamo fascisti, e la prova sta proprio nell’accusa che ci viene mossa. Una delle architravi del fascismo fu di imporre ai giornali il divieto assoluto di pubblicare notizie di cronaca che potessero contraddire la narrazione ufficiale del regime. Cito da La stampa nel ventennio di Mauro Forno (edizioni Rubbettino): «Fin dal 1925, l’allora ministro dell’interno Luigi Federzoni, aveva ordinato attraverso apposite circolari ai prefetti di sequestrare tutti i giornali che indugiavano su delitti di sangue adulteri e simili e Mussolini stesso aveva impartito l’ordine di smobilitare la cronaca nera. Il fascismo temeva molto la cronaca nera perché poteva distrarre il lettore dalle pagine politiche e per l’intralcio che essa arrecava al processo di una tensione positiva, in grado di rafforzare la tensione sociale e il senso di appartenenza ad una grande nazione sempre in marcia verso alti ideali… Insomma per uno stato totalitario era intollerabile che la stampa si facesse portavoce di messaggi negativi diffondendo all’esterno immagini di disagio e di disgregazione sociale».
Mi sembra quindi chiaro che «fascista» è obbedire «all’ordine» del ministro della Giustizia Orlando di dire che non c’è alcuna emergenza e censurare dalle prime pagine dei giornali e dei telegiornali i fatti efferati che vedono protagonisti gli immigrati. Il pericolo di un neofascismo – cioè di un nuovo totalitarismo – non viene dai nostalgici di destra che salutano a mano tesa in ridicoli raduni ma da chi, come il gruppo La Repubblica-La Stampa, vorrebbe imporre un pensiero unico manipolando i fatti e occultando la realtà. Verrebbe da dire: all’armi, son fascisti.
IL GIORNALE