Nel mirino del dittatore c’è Seul
Ogni volta che la Corea del Nord fa un test nucleare o lancia un missile, viene in mente la stessa domanda: perché lo fa? Solo come deterrente contro potenziali attacchi? Ma in questo caso il vecchio principio dei tempi della Guerra Fredda, mutua distruzione assicurata, dovrebbe bastare. Allora c’è un altro motivo? È tempo di esaminare seriamente questa possibilità.
Tuttavia, i test vanno avanti da troppo tempo e sono troppo ravvicinati perché questa spiegazione risulti convincente. Per quanto possa trapelarne agli osservatori esterni del regime più segreto del mondo, il potere di Kim Jong-un sembra solido e non c’è prova che sia insidiato dall’interno. Perciò ci dev’essere un’altra spiegazione.
In effetti ci sono tre possibilità. Una è che per il giovane Kim missili e bombe atomiche siano come balocchi per un bambino: ama giocarci e spaventarci la gente. Ha il potere necessario a intimidire e minacciare e lo usa, anche solo per il piacere di farlo. Suo padre amava rapire attrici e bere il migliore cognac, forse questi sono giochi da dittatori, svaghi da autocrati che se ne infischiano degli interessi del popolo.
La seconda, invece, è che Kim voglia veramente minacciare gli Stati Uniti e abbia sul serio intenzione di lanciare dei missili nel mare che circonda le basi militari statunitensi dell’isola di Guam, nel Pacifico, anche se il mese scorso, dopo averlo annunciato ha deciso di rinviare il gesto dimostrativo. Il suo obiettivo potrebbe essere quello di cercare di dividere i tradizionali alleati regionali della Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti, approfittando dei diffusi dubbi sulla stabilità e le capacità del presidente Donald Trump.
Quest’opzione implica però una vocazione suicidaria. Kim deve ben sapere che usare per primo un’arma nucleare contro gli Stati Uniti implica non solo l’eventualità ma la certezza di un’immediata rappresaglia di tale portata da non consentire scampo al leader nordcoreano. Una reazione sicura con ogni presidente, che con Trump diventa ancora più ineludibile. La ritorsione sarebbe inevitabile, e particolarmente agguerrita con l’attuale amministrazione, anche in caso di un attacco missilistico convenzionale a obiettivi americani.
Resta la terza possibilità. La guerra di Corea si è conclusa 64 anni fa, nel 1953, con un cessate il fuoco che non è stato seguito da nessun accordo o trattato di pace. C’è un solo modo in cui un leader nordcoreano può immaginare di resuscitare il conflitto e vincerlo e potrebbe passare per l’uso di ordigni atomici destinati a intimidire i sudcoreani spingendoli alla resa.
Anche questa è una scelta in parte suicida, ma non del tutto. E’ immaginabile che un attacco nucleare limitato, magari non diretto su Seul o su altri centri abitati, possa essere seguito dalla promessa di un cessate il fuoco e da successivi colloqui, confidando che la Corea del Sud chieda la pace e gli americani si ritirino.
In realtà gli americani non farebbero nulla di simile perché non possono permettersi di rinunciare alle loro basi militari sudcoreane e nemmeno abdicare al loro ruolo nell’area e nel mondo. Perderebbero ogni credibilità e dovrebbero rinunciare a ogni pretesa di supremazia. Ma potrebbe comunque essere questa la scommessa di Kim Jong-un.
Quindi che si fa? Proseguire con il contenimento e la deterrenza è con ogni evidenza l’opzione migliore. Ma ce n’è un’altra destinata a diventare la più probabile se la minaccia di impiego di armi nucleari da parte di Kim iniziasse a essere presa sul serio a Pechino: un’invasione militare cinese o un cambio di regime innescato dalla sua minaccia. Come ogni altra invasione militare sarebbe rischiosa, ma potrebbe avere successo, dividendo la leadership nordcoreana.
Potrebbe essere un’opzione logica e accettabile, soprattutto nell’ottica cinese. Riporterebbe la Corea del Nord sotto la tutela della Cina, come negli Anni 50 con Mao Zedong, controbilanciando il legame con gli Stati Uniti del Giappone e della Corea del Sud e garantirebbe alla Cina una grande influenza sul futuro sviluppo della penisola coreana. E in Asia, Giappone compreso, sarebbero tutti grati a chi li ha salvati dalla minaccia di una guerra nucleare.
Il ruolo strategico della Cina farebbe, per usare un noto motto maoista, un grande balzo in avanti. Anche questa è un’opzione da prendere molto seriamente.
traduzione di Carla Reschia
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