Non contate più sul segreto bancario
La storia si consuma anche in piccoli ma significativi passaggi di astruse norme internazionali. Si può dire, senza esagerare, che proprio in queste settimane, il segreto bancario stia sostanzialmente finendo. Non del tutto, come vedremo, ma il tramonto è inesorabile. Settembre è il mese nel quale sarà avviata una complessa procedura per lo scambio automatico, a fini fiscali, dei dati 2016 sulla clientela non residente degli intermediari finanziari (saldi e movimenti dei conti correnti, per esempio). Le regole della Common reporting standard (Crs) e della Direttiva europea sulla cooperazione amministrativa (Dac2) riguardano in totale 101 Paesi. L’Agenzia delle Entrate ha posto ai soggetti italiani il limite del 21 agosto entro il quale fornire tutti i dati dei loro clienti interessati allo scambio. Con un tempo supplementare per le integrazioni che scade proprio oggi, 4 settembre. Entro il 18 settembre, quelli che non l’hanno ancora fatto, dovranno iscriversi a una speciale sezione del Registro elettronico degli indirizzi (Rei). L’Italia deve comunicare — e lo farà al 30 settembre — le proprie informazioni a 85 Paesi. La nostra amministrazione finanziaria li riceverà, per il momento, solo da 60.
Le tappe
A fine maggio le banche italiane avevano già inviato i dati personali e finanziari sulla propria clientela coinvolta nelle maglie della normativa prevista da un’intesa firmata da diversi Paesi, e nel 2014 dall’Italia, con gli Stati Uniti. In sigla Fatca (Foreign account tax compliance act), che nel linguaggio finanziario internazionale ha reso possibile l’attacco finale al segreto bancario svizzero utilizzato a lungo da cittadini americani come scudo per non pagare le tasse in patria. Sotto la minaccia di multe pesantissime, nel 2009 le autorità di Berna accettarono che venissero rivelati gli intestatari di circa 4 mila conti di Ubs. Da allora la diga del segreto bancario si è infranta un po’ ovunque. I cosiddetti «Panama papers», frutto dell’attività investigativa dell’International consortium of investigative journalists, un’associazione di più di 200 giornalisti di 70 Paesi, hanno scoperchiato un gigantesco aggiramento dei sistemi fiscali, grazie alle normative compiacenti di diversi Paesi, non solo esotici, e all’attività di eminenti studi professionali. Nei giorni scorsi, una commissione del Parlamento europeo ha pubblicato uno studio sulla capacità degli Stati membri di combattere l’elusione e l’evasione fiscale. L’Italia ha rivelato solo il numero dei soggetti italiani coinvolti nei «Panama papers». Sono 1.200, come ha scritto su Italia Oggi Giorgia Pacione di Bello. San Marino, per uscire dalla black list, ha dovuto trattare con Bruxelles dure condizioni. E rispetto al 2009 — come affermato al meeting di Rimini dal segretario di Stato agli affari esteri, Nicola Renzi — ha perso il 60 per cento dei depositi. Con il Vaticano l’Italia ha raggiunto un accordo di trasparenza due anni fa. Tra i Paesi più lenti ad adattarsi, l’Austria. Il segreto bancario sta cadendo sotto i colpi della determinazione americana, ma se c’è un Paese che può considerare un proprio successo la collaborazione internazionale nello scambio automatico a fini fiscali dei dati bancari, questo è l’Italia. E dopo un lungo periodo di colpevole inazione nei confronti di molti paradisi fiscali. «Siamo di fronte — spiega Fabrizia Lapecorella, direttore generale delle Finanze — a una svolta epocale. Non cade di fatto solo il segreto bancario in molti Paesi, ma dal 2018 l’attività dei paradisi fiscali sarà fortemente ridimensionata. Ora si tratterà di sfruttare al meglio, nella lotta all’evasione, la massa di dati che sarà a disposizione dell’Agenzia delle Entrate. Lo scambio automatico non riguarda ancora tutti i Paesi che hanno sottoscritto gli accordi e l’individuazione dei beneficiari dei conti intestati a entità non trasparenti è ancora problematica». Lapecorella sottolinea il ruolo che l’Italia ha avuto sia a livello di G20 sia in sede Ocse (dove il ministro Pier Carlo Padoan ha lavorato a lungo) nella definizione degli standard. E, nel periodo di presidenza di turno italiana nell’Ue, lo sforzo per incorporare nel diritto europeo gli accordi internazionali. Il gruppo sullo scambio automatico di informazioni, istituito all’interno Global forum dell’Ocse, è presieduto da un italiano, David Pitaro della Banca d’Italia.
Gli scenari
«In Italia — dice Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi — il segreto bancario non è mai esistito, sia l’amministrazione fiscale sia le procure della Repubblica hanno avuto sempre pieno accesso ai movimenti bancari. Peccato non sia stata accettata la nostra proposta di far utilizzare ai magistrati, che ne facevano richiesta, lo stesso canale amministrativo usato dalla Agenzia delle Entrate, ciò ha fatto lievitare i costi per le banche. Gli accordi internazionali, è necessario ripeterlo, riguardano solo gli scambi di informazioni per i conti detenuti da non residenti. Nonostante i passi avanti, rimane comunque una notevole differenza fra chi il segreto non lo ha mai avuto e chi, con riluttanza, comincia a smantellarlo adesso». «Con la nuova normativa — spiega Antonio Della Carità, partner dello studio BDC Associati — le informazioni sui titolari di rapporti finanziari saranno scambiate in automatico. Ciò consentirà di superare l’interposizione di schermi societari o di entità quali i trust, o l’utilizzo di polizze. Anche per la Svizzera, ma a partire però dal 2018 con riferimento al periodo di imposta 2017. Lo scambio automatico non ci sarà per quei soggetti italiani che sono ritenuti fiscalmente residenti nella Confederazione. Per questi ci vorrà, in caso di contestazioni, una richiesta specifica da parte delle autorità italiane, come avviene peraltro oggi». «Il segreto bancario svizzero — spiega Franco Citterio, direttore generale dell’Associazione bancaria ticinese — è regolato da una legge del 1934 e resterà intatto per i residenti della Confederazione. Berna aderirà dal prossimo anno alle regole sullo scambio automatico dei dati. L’ impegno dei nostri istituti per la trasmissione dei dati è totale». Della Carità sottolinea poi un aspetto paradossale degli accordi bilaterali Fatca con gli Stati Uniti. Una mancata reciprocità, soprattutto per i soggetti con conti in alcuni stati come Wyoming e Delaware, con legislazioni più permissive. Insomma, difficilmente si sfuggirà all’Irs, il Fisco americano, più facilmente lo potranno fare gli stranieri negli Stati Uniti. «Gli americani sono inflessibili con i propri cittadini — conclude Della Carità — un po’ distratti con gli altri». La lotta all’evasione non fa venire meno la concorrenza fiscale. Tutto bene? Un mondo più trasparente sarà necessariamente migliore? Non c’è dubbio che nella lotta ai paradisi fiscali gli stati abbiano dimostrato un’unità d’intenti apprezzabile. Pur tuttavia, la riservatezza dei conti, come delle comunicazioni private, fa parte delle libertà individuali. Gli sguardi di Fisco e magistratura sono necessari. Quelli di altri sgradevoli e pericolosi. Non tutti i sistemi sono ugualmente protetti da hackers sofisticati e potenti. E il mondo dei pagamenti digitali apre scenari inediti. Transazioni più facili, meno costose, privacy difficili da garantire. Dal segreto inviolabile si passerà a una trasparenza eccessiva? La discussione è aperta.
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