Quei toni diversi sull’Unione europea
Metterli sullo stesso piano non piace né a Salvini né a Di Maio. E fa torto ai loro elettori. Giusto. Ma il caso ha voluto che i «due populismi» — come li ha definiti il direttore del Corriere Luciano Fontana — si presentassero insieme domenica scorsa al forum Ambrosetti a Cernobbio. Davanti non solo a un pezzo della classe dirigente italiana ma anche a tanti stranieri. Diciamo subito che i toni moderati, speriamo non di circostanza, hanno fatto tirare un sospiro di sollievo a molti osservatori nostrani. «Tranquilli, anche se andassero al potere non farebbero esattamente tutto quello che dicono». Rivolgere discorsi diversi a pubblici diversi fa parte del costume nazionale. Si è inclini a pensare però che ogni tanto possa prevalere una sostanziale saggezza italica, refrattaria agli estremismi. Ma quel po’ di doppiezza, che noi riteniamo normale, non lo è per molti analisti stranieri e reali o potenziali investitori. Non colgono le infinite sfumature della politica italiana, poveretti. Ma non è colpa loro.
Sull’argomento più delicato per la business community internazionale, ovvero l’euro, le posizioni sono state concilianti, ragionevoli. Bene. Sia Di Maio sia Salvini non pensano o non pensano più, a un’uscita immediata dalla moneta comune che avrebbe come effetto una micidiale tassa sul risparmio degli italiani. Agitano ancora lo spettro di un referendum, peraltro attualmente impossibile.
«Ma solo se l’Europa non accetterà le nostre proposte, quello attuale è un euromarco» (Di Maio). «È un ombrello, un’uscita di sicurezza, ma solo se non si rivedranno i parametri europei. La Lega non ribalta i tavoli» (Salvini). Il ricorso a una consultazione popolare appare agli occhi dei suoi proponenti come un ordigno ad alto potenziale deterrente che potrebbe esplodere in casa altrui, pur sapendo che i danni maggiori li avremmo noi. Il solo parlarne, da parte di forze che aspirano con buone probabilità a governare nel 2018, determina una crescita del premio al rischio per chi vuole venire nel nostro Paese. Cioè i danni non si vedono ancora ma già ci sono.
La domanda principale che pone ai suoi interlocutori italiani un investitore non è molto diversa da quella di un risparmiatore cui preme sapere dove finiranno i propri soldi. «Io scommetto sul futuro del Paese — che ora finalmente cresce — ma poi mi troverò in tasca euro o una nuova moneta svalutata?». Lo stesso investitore, che può aver apprezzato il garbo e la moderazione dei due leader a Cernobbio, non può non essere assalito da qualche dubbio leggendo dichiarazioni precedenti o interventi in Rete. «L’euro è una moneta fallita, sbagliata, da rottamare» (Salvini su Facebook 14 dicembre 2016). «La più grande truffa ai danni dell’Italia», prefazione del leader della Lega al libro Oltre l’euro, per tornare grandi (gennaio 2017). BastaEuro.org è un marchio registrato dallo stesso Salvini. Sul sito di Beppe Grillo si può ancora leggere della vecchia idea di lanciare un referendum consultivo con lo slogan «Fuori dall’euro», moneta unica «che ci sta portando al collasso» e dunque è «tempo di agire per affrancarsi dalle catene». E via di seguito. La domanda su quale sia la posizione autentica — quella che dominerà la prossima campagna elettorale — è legittima anche da parte di un singolo cittadino italiano. Il cambiamento di opinione può essere anche spiegato (modesto suggerimento) dal mutare della congiuntura. Ora si cresce. Il peggio sembra passato. L’euro è in salute, persino troppa. Ecco la coda mancante dopo la svolta (?) di Cernobbio.
Chi si candida alla guida di un Paese deve fare i conti con la realtà. Non può ritenere che l’Italia — grande esportatore con risultati oggi assai brillanti — sia un’isola in Europa e nel mondo globale. E soprattutto non abbia un debito elevato sul quale paga, ancora per poco, tassi d’interesse irrisori. Da rifinanziare ogni anno, anche per cifre di 400 miliardi. La questione dell’indebitamento è stata rimossa a lungo (ne hanno scritto Giampaolo Galli e Lorenzo Codogno sul Sole 24 Ore del 29 agosto) anche dalla maggioranza di governo. Un po’, per la verità, da tutti. È una amnesia nazionale che si aggiunge alla doppiezza di cui sopra. Nell’opposizione, Forza Italia accarezza ancora la vaga, ma ugualmente pericolosa, ipotesi di una doppia moneta. In campagna elettorale un po’ di promesse bisogna farle. Si può anche gettare il cuore oltre l’ostacolo. Senza esagerare. Salvini vuole ridurre, e giustamente, le tasse. Ma una flat tax, una tassa piatta al 15 per cento, come quella che propone, è assai velleitaria sotto il profilo della sua copertura. Di Maio individua correttamente la necessità di proteggere i più deboli, ma il reddito di cittadinanza dal costo di 17 miliardi appare più un sogno che un progetto concreto. I voti si possono prendere anche con un po’ di prudenza.
CORRIERE.IT
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