Il mistero della zanzara che uccide

eugenia tognotti

Un mistero. Un giallo medico-scientifico. La morte per malaria della bambina di Trento è un evento eccezionale, alla luce dei pochi fatti di cui danno conto le cronache dei giornali: l’assenza di viaggi all’estero della famiglia in Paesi di malaria endemica; la breve vacanza trascorsa a Bibione, in Veneto; il ricovero della piccola nell’ospedale pediatrico Santa Chiara di Trento, dove la contemporanea presenza di due minori, che avevano contratto la malaria in Africa, non avrebbe comportato, a detta dei responsabili della struttura, il rischio di infezione malarica «indotta», acquisita cioè per accidentale inoculo di plasmodi.

 Difficile che Commissioni ministeriali e simili possano verificare le altre ipotesi in campo, che prevedono la possibilità della puntura di zanzare vettrici, Anofele, infette, accidentalmente importate in quell’area attraverso mezzi di trasporto quali navi e aerei («malaria da aeroporto»); o quella di specie anofeliche autoctone, infettatesi succhiando sangue da individui (immigrati o viaggiatori di ritorno da Paesi tropicali) portatori dei gametociti del Plasmodio, l’agente patogeno delle varie forme di malaria, terzana, quartana, estivo-autunnale o perniciosa.

 

Dovuta, quest’ultima, al più pericoloso, il Plasmodium falciparum, che, in epoca pre-chininica, seminava la morte tra i bambini dell’Italia malarica, nel Mezzogiorno continentale, in Sicilia e in Sardegna. Condizioni ambientali e climatiche e la presenza di vettori diversi, risparmiavano il Nord dove dominava una forma di malaria più mite, da Plasmodium vivax.

 

La comparsa del Falciparum nelle cronache di questo caso di morte per malaria a Trento, fa una certa impressione se si considerano le carte sulla distribuzione dei potenziali vettori di malaria e delle aree a rischio d’introduzione dell’infezione (2005-2011). Niente rischio malaria per l’Italia settentrionale, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto ecc. dove non è segnalata la presenza di Anopheles labranchiae. A rischio alto la Toscana, antica area di malaria, con uno dei «loca infesta» più tristemente noto nei secoli, la Maremma. A rischio moderato Sicilia e Sardegna, chiazzata di cerchi azzurri che segnalano la presenza di focolai sparsi di zanzare vettrici, su cui non ha potuto neppure l’inflessibile determinazione dei tecnici della Rockefeller Foundation nell’inondare l’isola di Ddt. Da quando quella potente arma, introdotta dagli americani nel periodo bellico, ha liberato il nostro Paese dall’antico flagello della mal aria i casi di malaria autoctona sono stati davvero pochi, anche a voler considerare un caso di inoculazione accidentale verificatosi in ambiente ospedaliero a carico di personale sanitario. Il primo – che vide il tempestivo intervento delle autorità sanitarie – si è verificò in provincia di Grosseto nel 1998.

 

Si appurò poi che quel caso, dovuto a Plasmodium vivax, era stato causato da una zanzara nostrana, infettatasi su un individuo proveniente dall’India. Gli altri casi autoctoni si sono verificati nel nostro Paese fra il 2009 e il 2014. Casi sporadici di malaria autoctona, verificatisi nel 1971 in Corsica, nel 1975-76 e 1999-2000 in Grecia, nel 1995-96 in Bulgaria, nel 1998 nel grossetano, nel 2014 in Sardegna, dimostrano che i potenziali vettori presenti nell’Europa meridionale possono infettarsi con plasmodi provenienti da zone endemiche. Il caso della bambina di Trento morta di malaria andrà studiato con la massima attenzione. Ora sappiamo che il verificarsi di casi sporadici di malaria autoctona non riguarda solo le regioni centro-meridionali e insulari. E’ necessario che il livello di sorveglianza resti alto. Ma niente allarmismi. Una ripresa della trasmissione della malaria è poco probabile in Italia: uno dei pochi flagelli storici di cui siamo riusciti a liberarci non tornerà a fare paura.

LA STAMPA

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