Sindaci in bancarotta

paolo baroni
roma

Napoli sembra non farcela a rispettare i piani di rientro pattuiti nel 2012, anche a Torino i conti non tornano e la Corte dei Conti ha già sollecitato adeguate contromisure. E poi c’è Roma, dove il debito monstre dell’Atac (1,3 miliardi) rischia di far saltare anche i conti dell’azionista Comune. Insomma per i municipi italiani, sempre più in affanno coi bilanci, le prossime settimane potrebbero essere molto complicate. Intanto nei primi 5 mesi dell’anno sono già state avviate 12 nuove procedure di «predissesto», una ogni 12 giorni.

 Sino ad oggi, tra le città sopra i 250 mila abitanti, solamente il capoluogo campano ha chiesto l’attivazione delle norme salva-bilanci, ma di qui a breve Napoli potrebbe non restare più sola. La lista potrebbe allungarsi e includere altre grandi città aggravando una situazione di per sé già molto pesante. Alla fine del 2016, secondo uno studio della Fondazione nazionale dei commercialisti, in Italia si contavano infatti ben 107 enti in dissesto e 151 in predissesto, poi saliti a fine maggio a quota 163 secondo la contabilità dell’Ifel, l’Istituto per la finanza locale che fa capo all’Associazione nazionale dei Comuni. In pratica, in pochi mesi, alla lista se ne sono aggiunti 12. A questi elenchi vanno poi sommati altri 67 Comuni che sempre a fine 2016 risultavano «deficitari», ovvero ad un passo dal default perché non rispettavano una serie di precisi parametri economici. «Non so se la situazione stia peggiorando – commenta il sindaco di Catania, Enzo Bianco, che presiede il Consiglio nazionale dell’Anci e che da tempo segue le trattative col governo su questi temi -. Certamente però non sta migliorando».

 

Emergenza Mezzogiorno

L’ultimo Comune di un certo peso entrato in crisi quest’anno è quello di Scafati, provincia di Salerno, 50.787 abitanti. Ma la lista, oltre a tanti piccoli municipi, concentrati per il 68,7% nel Mezzogiorno, conta due città con più di 250 mila abitanti (Napoli e Catania) e altri 9 capoluoghi (Savona, Pescara, Rieti, Benevento, Caserta, Foggia, Cosenza, Reggio Calabria e Messina), più un ricco drappello di Province (Asti, Novara, Verbania, Varese, Imperia, La Spezia, Ascoli, Chieti, Potenza e Terni, ultima arrivata nel 2016). In totale è interessata una popolazione pari a 4 milioni e 330 mila residenti.

 

Tutti questi enti, in virtù della legge entrata in vigore nel 2012, sono riusciti ad evitare il dissesto vero e proprio grazie al contributo dello Stato che attraverso un fondo di rotazione consente loro di evitare la bancarotta e continuare a pagare stipendi ed erogare servizi. Di contro, però, sono sottoposti ad un severo piano di riequilibrio pluriennale sotto la stretta vigilanza della Corte dei Conti che di norma porta l’ente ad aumentare le tasse. tagliare all’osso tutte le spese e dismettere immobili e quote societarie.

 

Crac e doppio crac

La lista dei Comuni in dissesto, aggiornato dall’Ifel al 25 maggio di quest’anno, comprende altri 103 Comuni (contro i 106 censiti a fine 2016), per un totale di un altro milione e 200 mila abitanti. In questo caso si tratta di amministrazioni che magari a loro volta hanno gonfiato a dismisura le spese (a partire da quelle per il personale) o non sono riuscite a governarle, poco efficienti sul fronte delle entrate (dall’incasso delle multe a quello delle tasse), che negli anni hanno accumulato molti debiti spesso fuori bilancio, e che pertanto (complici anche i pesanti tagli di bilancio subiti) non sono più in grado di garantire nè l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili nè il pagamento dei loro crediti. Ben 27 sono concentrate in Campania, 28 in Calabria e 25 in Sicilia. Solo lo scorso anno sono stati 17 i Comuni che hanno dichiarato bancarotta, altri 6 lo hanno fatto nei primi mesi del 2017 a conferma di un trend che a partire dal 2012 ha visto impennarsi notevolmente i numeri degli enti in crisi, passati dai 3-5 all’anno del periodo 1999-2009 ai 18-24 dell’ultimo quadriennio. Nell’elenco da quest’anno sono entrate Benevento e Acri (Cs), in buona compagnia con Viareggio, Castellamare di Stabia, Vibo Valentia, Milazzo, Augusta, Bagheria, cui vanno poi aggiunte le amministrazioni provinciali di Caserta e Vibo. Non mancano le situazioni croniche visto che in ben 16 casi sui 106 censiti dai commercialisti ci si trova di fronte a situazioni di doppio dissesto. Ovvero l’ente in crisi, come ad esempio è capitato tra le altre alla città di Potenza, non ha ancora concluso la prima procedura che è costretta ad aprire un’altra.

 

Bianco: norme da rivedere

«La disciplina degli enti in dissesto e predissesto è vecchia, risale a prima della riforma del bilancio e dei criteri di finanza locale ed andrebbe rivista – segnala Bianco -. Si tratta di un tema delicato che abbiamo già posto all’attenzione del governo ed in parte già affrontato positivamente: occorre infatti superare definitivamente il paradosso in base al quale a causa di una serie di formalismi i Comuni in predissesto che stanno attuando comportamenti virtuosi sono più penalizzati di quelli in dissesto. Per questo serve una revisione organica della materia che da un lato obblighi i Comuni spendaccioni a cambiar strada ma al tempo stesso consenta di aiutare gli enti che stanno cambiando strada rispetto agli errori del passato. Spero tanto che prima che si chiuda la legislatura si possa trovare una soluzione».

LA STAMPA

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