“Siena? Distrutta da noi comunisti”
Il titolo dice tutto: Ci hanno preso in giro! Pure i veri comunisti di Siena si pentono.
Si pentono di aver retto il gioco, di aver visto, sentito e taciuto tutto. Si pentono di aver fatto fallire una banca, una fondazione, un’università, una squadra, nascondendo la testa sotto il tufo. Si pentono di essere stati collusi con il «sistema Siena», la «ragnatela vischiosa» di una piccola città-Stato «altezzosa e autoreferenziale». «Ho sentito il dovere di rompere il silenzio che politicamente continua ad avvolgere Siena e l’urgenza di manifestare la mia indignazione verso il sistema di corruttela che ha saccheggiato la città», scrive Gianni Resti, autore di questo libro (ancora non uscito), comunista pentito, che sbriciola quel muro di silenzio che da sempre spadroneggia in quella città, dove va di moda (finché fa comodo) tacere su tutto.
Insegnante di filosofia, iscritto al Pci dal 1977, infatuato da Enrico Berlinguer, convinto della diversità comunista, innamorato della questione morale, per 30 anni è lo storico assessore alla cultura alla Provincia di Siena per Pci, Pds, Ds e Pd. Resti crea la Fondazione musei senesi, ma a causa del suo spirito critico, «difficilmente incasellabile», i compagni lo mettono all’uscio, per due volte. Due diversi presidenti di Provincia (Starnini e Ceccherini) lo cacciano, intestandosi i suoi successi: «La mia presenza ostacolava alcune mire politiche e prospettive di carriera. (…) Il partito aveva bisogno di sistemare alcuni suoi funzionari». Resti subisce l’onta di doversi difendere pure dal sospetto di aver rubato. E poi arriva l’isolamento, la solitudine e «il silenzio politico»: «Nessun compagno mi dedicò un gesto di solidarietà e uno in particolare, Molteni, per non incontrarmi, si nascose fra gli abiti della Upim». È costretto a lasciare il partito: «Le persone peggiori e ambigue le avevo conosciute soprattutto all’interno del partito». Quando era alla ricerca di un funzionario, venne convocato dal segretario del Pci locale Vigni che gli propose De Martinis, «un giovane compagno, suo amico». Che venne assunto «senza eccessiva fatica». Quando gli ripropongono il posto da assessore, gli stessi che lo silurarono lo chiamarono per convincerlo a rinunciare all’incarico per «le difficoltà che avrei determinato per alcuni».
Da Siena «uno dei migliori esempi di città di sinistra», a Siena rovinata dalla sinistra, dall’ex sindaco Ceccuzzi, all’ex presidente della provincia Bezzini, fino al segretario Pd Guicciardini. «Mi sento giocato come persona, cittadino e amministratore». L’incontro casuale al bar «Quattro cantoni» con il giovane avvocato Giuseppe Mussari, presidente del comitato elettorale che portò alla vittoria del sindaco Maurizio Cenni: «Mi confidò di sentirsi a disagio nel riprendere il proprio lavoro di avvocato». Di lì a poco venne nominato presidente della Fondazione Mps, soffiando il posto al sindaco uscente Pierluigi Piccini, impigliato in una storiaccia di liste massoniche, che comunque venne premiato con un ufficio dorato alla Mps di Parigi. «La politica era ormai di casa nella banca più antica del mondo (…)». Tanto nulla cambia mai a Siena: «Stessi dirigenti politici, stessi capicorrente, stesse doppiezze». È Siena.
IL GIORNALE