Quegli ex talebani M5s che calpestano le regole
Dal Movimento delle regole al partito delle deroghe. A dieci anni di distanza dal primo «Vaffa day» di Bologna, oggi il M5s si autocelebra a Trieste con una manifestazione alla presenza di quasi tutti i big, Luigi Di Maio in testa.
Assenti Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Ma è proprio il vicepresidente della Camera, la stella più splendente del nuovo grillismo «di governo», basato sulle eccezioni più che sulle regole.
La metamorfosi di quelli che erano i talebani a 5 stelle, la spiega a Il Giornale Aldo Giannuli, storico e amico personale del guru Gianroberto Casaleggio e tra i fondatori dell’associazione che porta il nome del cofondatore del Movimento: «C’è in atto un vero e proprio colpo di mano orchestrato da Di Maio, che punta a fare del M5s un’altra cosa; le sperimentazioni di Gianroberto, purtroppo, sono morte insieme a lui. Il Movimento non ha una classe dirigente all’altezza».
E tutto è lampante, alla luce delle decine di piroette fatte in questi anni proprio sulla cosa alla quale Casaleggio teneva di più: le regole. Scherza Giannuli: «Di deroghe ne troverà un’enciclopedia intera». A partire proprio dall’ultima capriola, strategica, sul vincolo dei due mandati nelle istituzioni.
Il la lo ha dato Alessandro Di Battista alla festa del Fatto Quotidiano: «Si possono valutare delle soluzioni alternative, che devono essere votate dai nostri iscritti sul web», ha spiegato Dibba. Subito si sono scatenate le reazioni dei grillini della prima ora, come l’ex consigliere regionale dell’Emilia-Romagna Giovanni Favia, espulso nel 2012: «Hanno solo svelato il velo dell’ipocrisia», commenta così, triste e sconsolato, l’homo grillinus delle origini. Che oggi, forse nemmeno sarebbe stato sbattuto fuori. Favia fu cacciato via insieme a Federica Salsi, allora consigliera comunale a Bologna, perché colpevole, tra le altre cose, di aver partecipato a una trasmissione televisiva, Servizio Pubblico di Michele Santoro. Già, qualche anno fa era severamente vietato andare in Tv. Poi, a partire dalla fine del 2013, tutto è cambiato. I grillini sono protagonisti di quei talk show che, secondo quanto scriveva Beppe Grillo, «ci fanno perdere voti». E se Casaleggio diceva «Il Movimento è le sue regole», ecco un’altra deroga. Il famoso «uno vale uno» è stato sacrificato sull’altare del direttorio a novembre del 2014. Il Movimento «dei cittadini», col passare degli anni, è stato infettato dal virus dei «padri nobili». Non solo Stefano Rodotà, ma pure Ferdinando Imposimato e Milena Gabanelli, tutti passati dalle «Quirinarie». Altro che «persone comuni» da portare nei Palazzi del potere.
Ma la trasformazione è soprattutto nei codici. Il Movimento si definiva una «non-Associazione», però Beppe Grillo, prima delle politiche del 2013, è stato costretto a crearne una vera e propria, a Genova davanti al suo notaio di fiducia. E che dire dei circoli locali. Il «Non-Statuto» postula: «La Sede del Movimento Cinque Stelle coincide con l’indirizzo web del M5s». Peccato che invece i grillini continuino ad inaugurare sezioni. Alcuni esempi? Catania, Lecce, Terni, Brescia, Trapani, Bari e Foggia. Infine, nel gennaio 2017, il Codice degli eletti sanciva: «L’avviso di garanzia non comporta gravità». Insomma, gli indagati non devono più dimettersi automaticamente. Una virata garantista dopo il caso delle firme false di Palermo, le inchieste romane su Virginia Raggi e sul sindaco di Livorno Filippo Nogarin. Diceva ancora Casaleggio: «Se cediamo sulle regole il Movimento non esiste più». Ma ormai è un’altra storia.
IL GIORNALE