Nella città devastata da fango e detriti

marco menduni
inviato a livorno

«Non si può morire per il Libeccio», si dispera Maria, amica di famiglia di una famiglia distrutta dall’alluvione, padre, madre, nonno e figlio, pensando a quel vento che dalla sera prima ha iniziato a spirare fortissimo. Il mare non ha più raccolto l’acqua dei fiumi, saturandoli e poi facendoli esplodere.


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Così quell’acqua ha devastato la città, ha invaso negozi e abitazioni, ancora una volta ha portato con sé un bilancio di morte. «Non si può morire – sospira Pietro Berni, che ora consola la madre nel condominio accanto alla villa della tragedia in via Rodocanacchi – per incuria e trascuratezza. Qui, quarant’anni fa, c’è stata un’altra alluvione, identica e devastante. Pensate che in quarant’anni qualcuno abbia fatto qualcosa? Almeno pulire i rivi dei fiumi?». Nella località dei Tre Ponti il rio Ardenza passa sotto tre ordini di arcate bassissime e chi, solo due giorni fa è transitato lì, ha ipotizzato: «Se non puliscono da arbusti e detriti il torrente esce». È uscito, l’Ardenza, e ha fatto strage.

 

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Perché l’alluvione di Livorno non è solo una storia di perturbazioni che, ancora una volta, sorprendono i meteorologi, cambiano strada, risparmiano la Liguria dove dovevano colpire duro come avevano già fatto in Francia, in Costa Azzurra, e poi scaricano la loro potenza in Toscana. È anche una vicenda dove entra in gioco ancora una volta l’assetto idrogeologico delle città. Sommare, al diluvio, un torrente sporco e trascurato e un altro tombato, che passa a lambire lo stadio e poi scorre sotto viale Nazario Sauro, il punto più colpito, rappresenta la devastazione come conseguenza logica.

 

 

Era atteso, questo rovescio catastrofico, in questa entità? In cui scarica, in quattro ore, la pioggia di tre mesi? Evidentemente no. Michele Sensi, un addetto della Tecnospurghi che manovra una gigantesca idrovora, lo conferma: «Ancora ieri sera eravamo stati dirottati tutti a Genova, dov’era previsto un disastro. Invece nel cuore della notte abbiamo dovuto fare rapidamente dietrofront». Però il territorio non ha retto.

 

Altra scena, altra zona della città. In via Fontanelle, nel quartiere di Collinaia, un tecnico dei Vigili del fuoco osserva un argine crollato. Lì vicino un’altra vittima, Raimondo Frattali, 70 anni. «Era sceso nel seminterrato per andare a prendere dei documenti, è rimasto lì sotto, hanno appena portato via il corpo», raccontano i vicini. Ma l’argine crollato che imprigionava l’Ardenza è il sintomo della sofferenza del territorio: «Quel che porti via ai corsi d’acqua, poi se lo riprendono. Non doveva esserci, qui, un argine così stretto». Poi indica più a Sud: «C’è un muro, dietro è nato un intero quartiere di ville nuove, il torrente non ha sfogo quando esonda. Stavolta il muro ha retto, lo farà ancora?». Così l’Ardenza, osservando il disastro a qualche ora della piena, ha invaso i campi, rovesciato le macchine agricole, fatto volar via le baracche. Dove non si è potuto allargare, ha tentato di farlo lo stesso. Spaccando i muri di protezione, invadendo le case. Un altro morto, qui vicino, Roberto Vestuti, in via di Sant’Alò. C’erano i muraglioni, per proteggere questo quartiere sul rio. Si sono sbriciolati come grissini e ora le scene sono quelle che accompagnano i disastri di questo tipo. I mobili sono accatastati fuori dalle abitazioni.

 

Gli uomini della Protezione civile spalano, aspirano il fango, rimuovono carcasse di auto ribaltate. Accanto a loro ancora una volta gli angeli del fango. Tutta la tifoseria calcistica della curva si è mossa sin dal mattino. Andrea, 18 anni: «Non c’è stato nemmeno bisogno del passaparola, ognuno di noi è salito in auto o in moto ed è andato a portare aiuto nelle zone più colpite».

 

Poi la stazione chiusa, i treni bloccati, le 2500 persone rimaste senza luce né acqua a Livorno e a Pisa. I ponti che crollano, come accade a Chioma, isolando case e persone, la tromba d’aria che a Rosignano lascia 15 persone senza casa. L’Aurelia bloccata, così come la Firenze-Pisa-Livorno e i caselli autostradali. Ancora un morto, in un incidente in cui il maltempo potrebbe aver giocato un ruolo determinante. Quattro i dispersi.

 

In viale Nazario Sauro, dove l’intera famiglia Ramacciotti, tranne la piccola Camilla, ha perso la vita in una tomba di fango, arriva la sera e si lavora ancora per rimediare al disastro. «Questa è una zona a livello più basso di quelle circostanti, dello Stadio, e qui sotto scorre un rivo tombato». Inevitabile la crisi, annunciata dai tombini trasformati in geyser. Il tempo è diventato più maligno e imprevedibile, ma non è tutta colpa del tempo.

LA STAMPA

 

 

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