Le occasioni da non sprecare nel finale

Marcello Sorgi
 

Non sprecare questi ultimi mesi, non trasformarli in ennesima occasione di scontro su testi di legge calendarizzati che magari non saranno mai approvati. Dovrebbe essere questo l’imperativo categorico dei parlamentari che si accingono a concludere una legislatura tra le più difficili e al contempo sorprendenti della storia parlamentare. Difficile, si sa, perché nata morta, con la cosiddetta «non vittoria» del Pd e l’assenza di maggioranze precostituite al Senato; e sorprendente perché, malgrado tutto, ha messo a segno una serie di riforme importanti (anche quelle successivamente bocciate nelle urne del referendum), mai approvate tutte insieme nel corso di un solo mandato parlamentare.

 Se solo si riflette sulle leggi realizzate nei mille giorni del governo Renzi, dal Jobs Act, alla scuola, alla legge elettorale (pur dichiarata in parte illegittima dalla Corte Costituzionale), alle unioni civili, e – ripetiamo – alle riforme costituzionali, che avrebbero potuto certo essere migliori, e probabilmente non cadere sotto la mannaia del voto del 4 dicembre, se a un certo punto del percorso non si fosse arrivati al muro contro muro tra Palazzo Chigi, indisponibile a riscrivere parte dei testi, e le opposizioni, decise a impedirne a qualsiasi costo il varo.

 

E se si aggiungono i risultati del governo Gentiloni, a cominciare dal salvataggio delle banche, è quasi impossibile rintracciare nel passato il precedente di una legislatura così fertile. E i differenti punti di vista, le legittime valutazioni diverse sui contenuti delle riforme, sia di quelle cancellate prima di entrare in vigore, sia delle altre sopravvissute, non dovrebbero impedire a nessuno di cogliere l’eccezionalità del lavoro di questo Parlamento, che sta per andare a casa. Un Parlamento, non va dimenticato, in cui anche parte delle opposizioni, al di là dei normali obblighi di propaganda, ha saputo dar prova di responsabilità, e in molte circostanze, soprattutto al Senato, consentire il passaggio di provvedimenti altrimenti destinati al fallimento.

 

Ora appunto, come hanno cominciato a fare ieri i capigruppo di Palazzo Madama, si tratta di decidere cosa fare di questi cinque, sei, forse anche sette ultimi mesi di vita delle Camere, prima della scadenza naturale della primavera 2018 che tutti i partiti, più o meno, sembrano aver accettata o messa in conto. Già il 2017 finora, dopo il risultato del referendum costituzionale e la decisione della Consulta di cassare in parte l’Italicum, è trascorso nel dubbio che si potesse arrivare a uno scioglimento anticipato delle Camere, e il governo, tutelato in questo dal Quirinale, ha dovuto guadagnarsi testardamente, giorno dopo giorno, spazi di agibilità che la ripresa economica, via via sempre più robusta, alla fine ha premiato. Lo stesso si può dire della soluzione trovata per il problema degli sbarchi fuori controllo degli immigrati: anche questa, costruita dal ministro Minniti con paziente lavoro di tessitura internazionale, diplomatica e non solo, non avrebbe visto la luce se la legislatura si fosse conclusa prima.

 

Occorre, però, tenere i piedi per terra, per cercare di dare senso e concretezza a una fine di legislatura già gravata da forti tensioni elettorali, non soltanto per le prossime regionali siciliane del 5 novembre. Scrivere un libro dei sogni, non serve. Né stilare lunghi elenchi di tutto ciò che potrebbe essere fatto e invece non sarà. Né piangere sul latte versato di riforme utili e opportune – come ad esempio lo Ius soli, tra l’altro rinviato ieri, o il bio-testamento – ma ormai forse troppo divisive per affrontare il periglioso iter parlamentare senza affondare tra una Camera e l’altra. Tanto vale concentrarsi su un paio di scadenze, queste sì, davvero improcrastinabili, e impegnare tutte le scarse risorse che rimangono per costruire un corridoio di salvezza, che consenta di rispettare gli impegni più urgenti. Il patto non scritto, la tregua che dovrebbe intervenire tra la maggioranza, o quel che ne rimane, e le opposizioni, riguarda innanzitutto la legge di stabilità, che dovrebbe trovare un percorso virtuoso, per arrivare all’approdo entro dicembre, rispettando le scadenze imposte anche dal calendario di Bruxelles e evitando di ripetere il solito mercato delle vacche sugli emendamenti, e sui singoli, contrastanti interessi corporativi che a ogni occasione affollano le anticamere parlamentari. Subito dopo c’è, sarebbe più giusto dire ci sono, le leggi elettorali, che da due, quante ne hanno lasciate in piedi le sentenze della Corte Costituzionale, dovrebbero essere ridotte a una, ma che sia in grado di produrre una vera maggioranza nelle prossime Camere.

 

Non è affatto un programma semplice da realizzare. Ma è necessario. Chissà che al di là degli scontri e degli insulti che hanno accompagnato questi ultimi cinque anni, i «morituri» di questo Parlamento non siano in grado di sorprenderci l’ultima volta.

LA STAMPA

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