La legge del 416 bis compie gli anni. Denunce, arresti e detenuti non calano
Denunce e arresti per l’associazione di stampo mafioso non calano significativamente nel tempo: è questa la fotografia restituita dai dati dell’Istat e della Direzione Investigativa Antimafia, che abbiamo analizzato in occasione dell’anniversario dell’approvazione della legge. Con l’ok definitivo del 13 settembre del 1982 la legge n. 646, conosciuta come “Rognoni-La Torre”, ha portato nel codice penale il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
In base ai dati dell’Istat, il numero di denunce effettuato dalle forze dell’ordine all’autorità giudiziaria per 416 bis è andato progressivamente diminuendo tra il 2010 e il 2012, ma ha ricominciato a salire negli ultimi anni. Nel 2014 e nel 2015 si sono registrate rispettivamente 89 e 85 denunce, contro le 68 del 2012 e le 75 del 2013. Numeri comunque più bassi rispetto a un decennio fa: nel 2007 le denunce erano state infatti 140.
Per quanto riguarda i detenuti presenti nelle carceri, condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso, le cifre raccontate dall’Istat, invece, dipingono un quadro in peggioramento nel tempo. Mentre nel 2008 i detenuti per 416 bis erano 5.257, nel 2016 il numero è salito a 6.967 e, secondo i dati provvisori del 2017, aggiornati al 30 giugno, il numero arriva a 7.048.
Nel report semestrale della direzione investigativa antimafia si legge infine che nel 2016 le persone denunciate e arrestate per associazione a delinquere di stato mafioso sono 2.619. Se si aggiungono i soggetti denunciati e arrestati per 416 ter (scambio politico-mafioso) e condannati con aggravante del metodo mafioso (art. 7 D. L. 152/1991), la cifra sale a 4.792.
Il dato più aggiornato sul sito del Ministero della Giustizia in merito ai procedimenti penali per delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso sono invece del 2013: si parla di un totale di 5.967 procedimenti contro noti e ignoti.
La legge n. 646
L’approvazione della legge venne accelerata dopo l’omicidio del segretario regionale siciliano del Partito Comunista Italiano, Pio La Torre, commesso il 30 aprile, e del prefetto di Palermo, Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto il 3 settembre dello stesso anno. Nel testo si legge che «chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da due o tre persone è punito con la reclusione da tre a sei anni». L’associazione è considerata di tipo mafioso quando chi ne fa parte si avvale della «forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva» per commettere delitti, acquisire attività economiche, concessioni, appalti pubblici o vantaggi, sia per sé che per altri.
Nelle recenti interpretazioni della giurisprudenza l’applicazione della pena per questo reato è stata allargata anche a forme non tradizionali di organizzazione mafiosa, ma che rispettano i requisiti del «vincolo associativo» e della condizione di «assoggettamento e omertà». Un caso esemplare è quello della mafia rumena a Torino: lo scorso giugno la Cassazione ha annullato le assoluzioni dall’accusa di associazione di stampo mafioso per i soggetti coinvolti nell’omonimo processo e ha ordinato un nuovo processo in Corte d’appello, proprio tenendo conto della nuova interpretazione giurisprudenziale.
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