Il libro di Vittorio Feltri: ecco perché l’Italia è un Paese di ladri impuniti

Pubblichiamo un estratto del libro di Vittorio Feltri Chiamiamoli ladri (Mondadori) da oggi in libreria.

Che sia Roma, che sia quello che Gianfranco Miglio chiamava la «palude tiberina» a corrompere fatalmente gli italiani da millenni, inesorabilmente? È noto, e a New York ne menano vanto, che esiste una teoria secondo cui ci sia una particolare energia elettrica e magnetica che attraversa quella metropoli e in particolare Manhattan e renda gli abitanti della città particolarmente attivi, incapaci di pigrizia, sempre pronti intellettualmente e muscolarmente ad agire. Questa tesi fu riferita per la prima volta da Luigi Barzini, non ricordo se senior o junior, ma so che colpì anche Indro Montanelli, che la condivideva, secondo quanto me ne riferì Gaetano Afeltra.

Quando l’ Italia è diventata così? C’ è forse una scuola di pensiero che ha trasmesso questi caratteri? Non credo. Non ci sono infatti filosofie di timbro italico che giustifichino apertamente il latrocinio. Evito di considerare, per non allargare il campo dell’ indagine, il furto di Stato rappresentato dall’ eccesso di imposizione fiscale in cambio di servizi inesistenti. E quello allo Stato, rappresentato dall’ evasione fiscale. Sono entrambi furti, il primo biasimato soprattutto a destra, il secondo dalla sinistra. Il risultato è che, quando regge le redini dello Stato, neppure la destra abbassa le tasse. E sia che governi Berlusconi, sia che comandino Renzi o Gentiloni, la mano sinistra non è diversa dalla destra, come dimostrano ampiamente le fughe all’ estero di qualche milioncino di euro dei compagni artisti, tipo Milva e Gino Paoli.

Resta agli atti la giustificazione estetica del latrocinio erariale, per cui il furto subito da chi versa il tributo a Cesare senza averne in cambio servizi adeguati è in realtà una pratica goduriosa sia per chi la pratica sia per chi la subisce.

Mi fermo alla formula «le tasse sono una cosa bellissima», pronunciata il 7 ottobre 2007 dal ministro dell’ Economia Tommaso Padoa-Schioppa, figura di politico onesto e colto, ma dotato di un gusto molto originale. Fece perdere alla sinistra le elezioni del 2008, perché gli italiani forse sono stati contagiati dalla moda sadomaso delle «cinquanta sfumature di grigio», ma a letto, e non con il commercialista. Neanche prendo in considerazione qui la teoria dell’ esproprio proletario, perché dovrei infilarmi a lottare con Karl Marx e non ho il fisico. Di sicuro, però, gli italiani hanno afferrato da soli il concetto: peggio della destra c’ è solo la sinistra.

Certo la questione dell’ evasione fiscale è seria, specie perché non è sentita come moralmente riprovevole dalla grandissima parte dei connazionali. È un furto nei confronti di quei cittadini che le tasse le pagano tutte, una disuguaglianza che tocca livelli abissali quando l’ evasore non si limita alla complicità con l’ idraulico, ma i suoi milioni o miliardi prendono la strada delle Cayman o di Singapore. Sia chiaro, non parlo dell’ evasione da sopravvivenza: essa è autorizzata persino dal catechismo, che assolve la madre la quale si appropria della roba altrui per sfamare i figli. Il problema è che poi si è un po’ esagerato con l’ analogia. E così l’ evasione viene teorizzata come legittima difesa da Dracula, ma è un alibi per non cambiare il costume nazionale secondo cui una cosa è la moralità, un’ altra l’ ossequio alle leggi. Le quali così non cambiano mai.

Vi ricordate Bettino Craxi? Ho la mia idea su di lui, e cioè che non si sia arricchito personalmente, e di certo ha pagato a iosa le sue probabili colpe. Ma giustificò il finanziamento illecito dei partiti (leggi: tangenti) che riguardava tutti con tre ragioni: 1) la politica è cara, e i partiti comunque sono necessari alla vita democratica; 2) gli italiani avrebbero disapprovato finanziamenti pubblici ai partiti; 3) i compagni ricevevano rubli, anzi dollari, da Mosca, e bisognava pur fargli concorrenza.
Intanto diamo merito alla sincerità di Craxi. Ma il fatto che lo facessero tutti e che fosse necessario è diventato l’ alibi per non cambiare la legge, e dunque consentire una scusa ai ladri.

Quanto detto da Craxi è tipicamente italiano. Il sentimento dell’ onestà è ritenuto distinto e superiore a quello di legalità. Per cui paradossalmente la moralità diventa il pretesto formale per essere disonesti.

L’ esempio delle tangenti per i partiti dovute, secondo i Craxi e i Cirino Pomicino, a cause di forza maggiore e addirittura al dovere di salvarci dai comunisti viene buono in tutti i campi. Le note spese dei giornalisti – ne so qualcosa da direttore di quotidiani – sono una fiera favolosa di arrotondamenti e di uscite inesistenti, giustificate vuoi dal fatto che la paga è bassa, o addirittura, per trovare il modo di farsi spesare anche l’ alcova, con la motivazione testuale e in fondo biblica che «l’ uomo non è di ferro» (la leggenda dice che fu coniata da Giorgio Bocca).

La legalità – concordo – non assorbe tutta la morale. E qualche volta esistono le ragioni del cuore superiori a quelle delle regole statali. In questi casi si cita sempre la vicenda tragica di Antigone che disobbedì alla legge del tiranno Creonte, suo zio, pur di attenersi alla norma suprema della coscienza che le imponeva di seppellire il fratello. Antigone disobbedì ma accettò la pena, anzi, di più, si suicidò. In Italia, figuriamoci, questa separazione è teorizzata per il proprio comodo, ed è tipica dei Paesi dove lo Stato è considerato un nemico, non un’ espressione della comunità.

Sono banale, ma ritengo che le leggi vadano applicate sempre. Tu andrai in Paradiso, ma in galera ci finisci comunque. Parlo della legalità senza eccezioni di categorie di persone, né di interpretazione dura o blanda a seconda della simpatia ideologica. Infatti, molti teorizzatori della legalità-à-à, in nome della propria bontà e misericordia accettano che i rom rubino e insegnino a rubare, e siano intoccabili e compatiti. Li assolvono a prescindere, anche perché non entrano mai nelle loro case, ma preferiscono quelle degli anziani e dei poveri. Oppure tollerano che circolino e addirittura si mantengano con denari pubblici quelli che per legge vigente sono clandestini o non in regola. Anche quella è illegalità, ma su questa i don Ciotti vari non hanno niente da dire.

Da noi non esiste la rule of law, un’ espressione anglosassone per dire che la norma si rispetta anche se non ti trova d’ accordo, e semmai ti organizzi in partito per cambiarla. E se vuoi fare disobbedienza civile, ne paghi il prezzo. È la «regola della legge», una disciplina interiore ed esteriore che in Italia non esiste. In piccolo: provate a raccogliere da terra un mozzicone acceso e cercate di restituirlo al protagonista del getto della cicca. Questo piccolo atto, ripetuto milioni di volte da molta gente, determina la bruttura di tante piazze e strade e spiagge. Provateci. Se il maleducato non vi dà un cazzotto, è un miracolo. Più normale che dica: «Lei, stronzo, si faccia i cazzi suoi».

Come dicono a Roma guardando il Colosseo: «Ha resistito duemila anni perché si è sempre fatto i cazzi suoi».
Finirà, come ha scritto Marcello Sorgi nel suo romanzo futurista e fantapolitico Colosseo vendesi, che dovremo vendere agli arabi proprio il glorioso anfiteatro per pagarci i debiti, a furia di farci ciascuno i cavolacci nostri, compreso il citato Colosseo.
Illegalità come malattia nazionale: questo è il vizietto. È la ragione per cui anche i poliziotti o i finanzieri quando vedono un venditore di merce taroccata, che danneggia i produttori onesti e i commercianti in regola, chiudono spesso gli occhi per ragioni superiori di ordine pubblico, onde evitare i tumulti dei troppo buoni. Infatti, se osano rincorrere un mercante abusivo e spacciatore di false griffe, vengono di norma maltrattati dai cittadini indignati per la crudeltà delle forze dell’ ordine contro un poveretto o presunto tale.

Questo disprezzo della rule of law in realtà è alla base della complicità generale e del clima piuttosto volubile a proposito di ladri inseriti in strutture pubbliche, insomma di quelli che hanno il colletto bianco.
Lascio perdere la tesi amata dai pubblici ministeri, secondo cui il costume italico delle bustarelle e delle tangenti sarebbe stato innescato e concimato dalle leggi lassiste e dalle procedure penali lente e alla fine solutorie volute dai politicanti e dai loro mazzieri (e mazzettieri). Quello è il sintomo, non la causa. I bubboni non sono la peste, ma la segnalano.
Infatti bisognerebbe spiegare perché proprio da noi ci sono queste leggi e queste procedure fatte apposta per far proliferare – a quanto dicono i magistrati e le loro indagini – il furto ospedaliero, comunale, statale ma soprattutto regionale. È la storia di prima: dove è cominciato il guasto?

Qual è la prima molecola cancerosa? Boh. In attesa che Antonino Zichichi e altri luminari inventino la macchina del tempo che ci riporti al brodo primordiale, mi limito a constatare e a pormi domande.
Certo il passato pesa. E la religione pure: con la perdonanza cattolico-romana a far ritenere qualsiasi reato degno di veloce misericordia. La cui conseguenza è stata il motto vivi-e-lascia-vivere, frutto anche della mescolanza di etnie che ha trasformato il nostro popolo in una misticanza di tutte le verdure dell’ orto terracqueo.
È questo il motivo che ha fatto dell’ Italia la terra perfetta per i ladri? In Romania siamo un mito, non presso la brava gente, ma la ciurmaglia.

Non ladroni come Barabba o come Alì Babà, ma di media taglia. Da cui un DNA particolarissimo, che la scienza a suo tempo individuerà, che fa sì che gli italiani, qualunque religione professino, a qualunque ideologia aderiscano, a qualunque classe sociale appartengano, siano contaminati da questo vizietto della furberia da cavallette che saccheggiano tutte o quasi tutte il Paese della rugiada divina.

di Vittorio Feltri 

LIBERO.IT

 

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