“Vivendi ha il controllo di Tim”. Così la Consob gela Bolloré

francesco spini
milano

La Consob gela Vincent Bolloré: secondo l’autorità che vigila sulle società e la Borsa la francese Vivendi «esercita il controllo di fatto su Tim» o Telecom Italia che dir si voglia. Una vera e propria bomba, che rischia di avere conseguenze devastanti per Parigi e i suoi azionisti. A cominciare dal possibile obbligo, per i francesi, di consolidare integralmente (almeno così dice la legge italiana) il bilancio di Tim, con 8 miliardi di margine operativo lordo ma anche 25 miliardi di euro di debito. La Consob, a tale proposito, ha già girato la pratica all’Amf, l’omologa autorità francese. Sarà lei a decidere se sarà il caso di costringere Vivendi a sobbarcarsi il fardello o applicare la differente normativa transalpina, con cui Parigi conta di essere al riparo.

 Ma non c’è solo questo aspetto. Con il controllo dichiarato, l’esercizio del «golden power» da parte del governo e la violazione dei relativi obblighi di comunicazione (che comporta una multa pari all’1% del fatturato, dunque da circa 300 milioni) appaiono se non scontati, assai probabili.

 

La Consob arriva alla conclusione che Bolloré col 23,9% controlla di fatto Tim (ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, dell’articolo 93 del Testo unico della finanza e ai sensi del Regolamento Consob per le Operazioni con parti correlate) in un documento di 22 pagine, dove smonta pezzo per pezzo le argomentazioni con cui per settimane Vivendi e la stessa Tim avevano sostenuto a viva voce l’assenza dei presupposti del controllo. In buona sostanza si sostiene che ciò che conta per determinare se c’è controllo «non è una particolare situazione formale», come avere più del 50% del capitale, ma «le reali situazioni di potere all’interno della società» per raggiungere una «influenza dominante».

 

Con il voto di lista, si fa notare, basta avere un voto in più del secondo azionista. E in un capitale polverizzato come quello di Tim e con i fondi impossibilitati a concorrere ad avere la maggioranza, il risultato premia l’azionista principale. Consob ritiene che Vivendi, all’assemblea di maggio, «avesse dall’inizio la ragionevole certezza» di nominare la maggioranza dei consiglieri «e quindi di poter esercitare il controllo sulla gestione».

 

Secondo la commissione, inoltre, l’esercizio della «direzione e coordinamento», ammessa da Vivendi, presuppone il controllo. Che è stato «concretamente esercitato» dai francesi, anzitutto mettendo tre dirigenti di Vivendi, a cominciare dall’ad Arnaud de Puyfontaine, nominato presidente di Tim, nel cda o, per citare un altro esempio, assumendo l’impegno con l’Ue di far vendere da Tim la partecipazione in Persidera «senza un preventivo coinvolgimento del cda» di Telecom. Tra le «prove» anche la risoluzione del rapporto con l’ex ad Flavio Cattaneo avvenuta «su esclusiva iniziativa del consigliere de Puyfontaine a seguito di una discussione» con Cattaneo sull’arrivo di Amos Genish, altro uomo di Vivendi. Pesa anche «la sottoscrizione, da parte di de Puyfontaine, di un dettagliatissimo term sheet (accordo preliminare, ndr) con Canal Plus», pay-tv di Vivendi.

 

Finirà di nuovo a carte bollate. Vivendi e Tim hanno preannunciato ricorso al Tar. Vivendi, che ha investito 4 miliardi, «contesta formalmente – si legge in una nota – questa interpretazione» e ribadisce di «aver sempre agito secondo la legge e i regolamenti». Piccata anche la reazione in casa Telecom, dove «da un preliminare esame» rilevano che «il provvedimento si discosta in maniera rilevante dalla consolidata interpretazione in materia di controllo societario, cui Tim – e ragionevolmente il mercato intero – si è sempre costantemente e rigorosamente attenuta».

LA STAMPA

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