Ecco l’effetto ius soli: i bersaniani si sfilano e Gentiloni ora traballa

Cadrà Gentiloni? Se sì, quando? Dalla disfatta del referendum renziano in avanti, questa era la domanda di un mondo politico ormai vuoto di obbiettivi e idealità, ma anche pervaso dalla voglia di sopravvivere a ogni costo.

La domanda andrebbe riformulata, nel melmoso fine di legislatura cui assistiamo. Come arriverà alla fine l’esecutivo Gentiloni? In quali condizioni di sfibramento e lacerazione? Quando persino una forza politica marginale, come Svp, è ormai capace di ricattare una maggioranza inesistente sulla base di una pretesa figlia di privilegi anacronistici – e dopo il legittimo voto del Parlamento -, significa che la situazione è arrivata a un punto assai grave.

Come se non bastasse, ieri anche Mdp, forza politica nata dalla sbandierata voglia di sostenere con vigore Gentiloni, ché il sostegno di Renzi era flebile e ambiguo, ha invertito la rotta senza tentennamenti.

«I fatti ci dicono che il Pd ha affossato lo ius soli al Senato e rischia di affossare definitivamente la legge elettorale alla Camera. Se questi sono i frutti avvelenati del rinnovato fidanzamento tra Renzi e Alfano, nessuno può pensare che noi staremo lì a reggere il moccolo gratis et amore Deo». Le parole pronunciate da un leader «minore» di Mdp, Alfredo D’Attorre, all’indomani del soviet che doveva sancire la leadership di Giuliano Pisapia nell’area, testimoniano un «cambio di passo» di cui probabilmente vedremo altri effetti nelle prossime settimane (in ispecie fino al voto siciliano del 5 novembre). È la radicalizzazione teorizzata l’altro giorno dallo stratega D’Alema per poter dare non tanto la spallata al povero Gentiloni, quanto distruggere la credibilità dell’arcinemico Renzi. Incidere sulle debolezze e incertezze del Pd, così come sulle scelte economiche. In particolare, mettere il coltello nella piaga dell’insano patto siciliano Renzi-Alfano (lo «ius soli», argomento perfetto). «Liberi tutti, non saremo corresponsabili di una conclusione insensata della legislatura», ha detto D’Attorre. Ma neppure l’ex (saggio) Bersani ha fatto sconti, inaugurando il «profilo di centrosinistra da combattimento» da lui stesso annunciato. «È una vergogna se si pensa di andare avanti con questi due moncherini di legge elettorale», il primo terreno di scontro con un Pd che boccheggia da giorni davanti alla «faccia feroce» della Svp. L’ex leader piddino parla poi del patto «per andare avanti così, accordo avvenuto attorno al caso Sicilia, al caso ius soli e al caso legge elettorale».

Non c’è più prudenza, la guerra sarà totale. Tra i temi, Bersani ritiene di gran lunga il più importante la rinuncia allo ius soli, «errore drammatico» che lo rende «preoccupatissimo» per l’integrazione dei figli degli immigrati. Gli fa eco, sia pur meno bellicosa, Pisapia da Milano. Il nuovo «profilo» sfoggiato da Mdp prelude anche a un’unificazione di tutte le forze a sinistra del Pd, fino a Rifondazione esclusa («pas d’ennemis à gauche», ricordava D’Alema l’altro giorno) e non risparmierà neppure qualche rottura d’alleanza locale, cosa che sta accadendo già in Emilia Romagna. Ma troverà alleati, viceversa, all’interno del Pd, come sembra alla luce della ripresa iniziativa orlandiana sul premio di coalizione (sabato ci sarà una manifestazione). Il lungo colloquio di ieri a Montecitorio tra Orlando e Franceschini, anche lui favorevole al meccanismo che obbligherebbe il Pd a scendere a patti, è la morsa di una tenaglia che si stringe per stritolare Renzi. Essendo Gentiloni un «effetto collaterale».

IL GIORNALE

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