Ce l’hanno fatta: si tengono il vitalizio

Ci stanno litigando ormai da un anno e continueranno a farlo fino al giorno delle elezioni.

Intanto, però, il D day è arrivato: oggi, 15 settembre 2017, la diciassettesima legislatura giunge al giro di boa dei quattro anni, sei mesi e un giorno. E per tutti i 608 parlamentari di prima nomina (417 deputati e 191 senatori) scatta finalmente l’agognata pensione. Un assegno di circa mille euro al mese netti che inizieranno a incassare al compimento dei 65 anni. Con buona pace di chi – Cinque stelle e Pd in prima fila – ha passato gli ultimi mesi a cavalcare la crociata anticasta, arrivando persino ad invocare le elezioni anticipate proprio per evitare che si arrivasse alla fatidica ora «X». All’indomani del referendum del 4 dicembre che decretò la fine del governo Renzi, era infatti questo l’argomento principe dei teorici delle urne subito: primi fra tutti i grillini.

Passati nove mesi da allora, le cose sono andate come tutti si aspettavano. Con la politica che per l’ennesima volta risulta essere lontana anni luce dagli elettori. Ci mancherebbe, non è sui contributi dei parlamentari di prima nomina che si ripiana il bilancio dello Stato. E non ha affatto torto chi sostiene che quello della pensione non può essere un argomento valido per sciogliere le Camere prima della scadenza naturale della legislatura. Detto questo la politica avrebbe fatto più bella figura a non azzuffarsi per quasi un anno su una questione che era evidentemente propagandistica. E le campagne anti-casta, quelle contro i politici in particolare, ormai sono così efficaci che perfino Renzi si convinse a inseguire i grillini sul loro stesso terreno. Con tanta irruenza da mandare un sms in diretta tv a Giovanni Floris – era fine gennaio – per dire che arrivare a settembre e far scattare i vitalizi sarebbe stata una «ingiustizia verso i cittadini». Un’uscita che fece imbestialire perfino i suoi gruppi parlamentari, tanto che la renziana Anna Ascani arrivò educatamente a definirla «una stronzata».

Evitare il teatrino degli ultimi nove mesi, insomma, sarebbe stato certamente più saggio e decoroso. Invece non solo i vitalizi sono stati al centro dello scontro politico prima dell’odierno D day, ma lo saranno anche dopo. Al Senato, infatti, sempre M5s e Pd si stanno sfidando in singolar tenzone in questi giorni sul ddl Richetti che mira ad abolire i vitalizi dei parlamentari. È impantanato in commissione Affari costituzionali, con i big grillini e dem che se le danno di santa ragione su social e tg rimpallandosi responsabilità. Con ogni probabilità un’altra sceneggiata ad uso e consumo dell’ormai imminente campagna elettorale, perché i bookmaker di Montecitorio sono pronti a scommettere sul fatto che il disegno di legge finirà su un binario morto. Neanche quotata, invece, l’ultima trovata grillina in materia. Proprio ieri, infatti, il capogruppo alla Camera dei Cinque stelle Simone Valente ha annunciato «un impegno sottoscritto» dei parlamentari pentastellati per «rinunciare alla pensione privilegiata». Quando ne avranno diritto, ovviamente.

E cioè al compimento dei 65 anni. Insomma, non proprio un impegno a breve termine.

IL GIORNALE

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