La difesa di Woodcock “Mi fidavo dei miei uomini”

edoardo izzo
ROMA

«Mi fidavo dei miei uomini, del capitano Gianpaolo Scafarto e dei carabinieri del Noe che indagavano su Consip». E’ il 7 luglio scorso quando il pm napoletano Henry John Woodcock, accompagnato dal suo legale Bruno La Rosa, si siede, in veste di indagato, davanti al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, all’aggiunto Paolo Ielo e al pm Mario Palazzi, che lo accusano non solo di aver veicolato notizie riservate sull’indagine Consip al giornalista del Fatto Quotidiano Marco Lillo, ma anche di un altro reato: un falso in concorso con l’ex capitano del Noe, oggi maggiore al Comando Generale dell’Arma di Napoli, Gianpaolo Scafarto.

E’ stato proprio l’ufficiale dei carabinieri, braccio destro del pm napoletano, a tirarlo dentro l’indagine della procura di Roma. Infatti, quando nel corso di uno dei molteplici interrogatori a cui è stato sottoposto, gli chiedono conto del perché avesse inserito un capitolo apposito su un presunto coinvolgimento degli uomini dei Servizi, la risposta di Scafarto è perentoria: «la necessità di dedicare una parte della informativa al coinvolgimento di personaggi legati ai servizi segreti, fu a me rappresentata come utile direttamente dal dottor Woodcock». E ancora, Scafarto, incalzato dalle domande riporta le parole precise del pm napoletano: «Al posto vostro farei un capitolo autonomo su tali vicende».

 

«Quando Scafarto mi raccontò di essere seguito da uomini dei Servizi Segreti gli ho semplicemente chiesto di metterlo nero su bianco nell’informativa conclusiva. Da un lato era un modo per approfondire il materiale e dall’altro avrei potuto omissare i nomi e le circostanze che riportavano agli uomini dell’intelligence per evitare fughe di notizie su un tema così delicato», spiega Woodcock, in sede d’interrogatorio.

 

Ma tale suggerimento solleva una questione non da poco, dalla quale può ora dipendere il destino di Woodcock: i servizi dipendono direttamente da palazzo Chigi, il cui «inquilino», ovvero l’allora premier Matteo Renzi, sembra essere il bersaglio di una manovra del pm napoletano e dei suoi «complici» in divisa, come peraltro annunciato dal Capitano Ultimo, il colonnello Sergio De Caprio, superiore di Scafarto (e possibile testimone nell’inchiesta) alla pm di Modena Lucia Musti: «Dottoressa se lei vuole ha una bomba in mano. Arriviamo a Renzi». Peraltro, il papà dell’allora premier, Tiziano, è indagato nell’inchiesta anche in base a frasi attribuite erroneamente nell’informativa su Consip confezionata dal Noe.

 

Resta ovviamente da chiarire – e deve farlo piazzale Clodio – se dagli errori di Scafarto emerge o meno un dolo. L’avvocato Giovanni Annunziata, legale del maggiore dei carabinieri, è sicuro che tale dolo non c’era e ritiene di poterlo dimostrare. E se il dolo manca nel comportamento di Scafarto difficilmente può essere contestato al dottor Woodcock, che ne sarebbe il mandante.

 

Come è noto le frasi riportate nell’informativa riguardo a precedenti incontri con un Renzi erano state attribuite in modo erroneo ad Alfredo Romeo, che per il Noe parlava di Tiziano, mentre a pronunciarle era stato invece l’ex deputato di An Italo Bocchino, che aveva incontrato in varie circostanze l’attuale leader del Pd. Inoltre anche l’uomo dell’intelligence che seguiva l’attività di indagine dei carabinieri del Noe nelle strade adiacenti piazza Nicosia, non era un agente segreto, ma un semplice residente che abitava proprio lì dietro. Un accertamento non riferito da Scarfato nel documento consegnato ai giudici. Questa circostanza l’ufficiale ha tentato di giustificarla cambiando più volte versione.

LA STAMPA

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