Giordania, Bocelli canta e si emozione a Jerash: «Un posto speciale»

Andrea Bocelli con monsignor Mauro Lalli, l’incaricato vaticano ad Amman

JERASH (Giordania) – L’Ave Maria stavolta non la intona. La recita. «E’ la mia prima volta in Giordania», s’emoziona Andrea Bocelli, la kefiah palestinese sullo smoking. E va bene cantare fra i cardi e i propilei di Jerash, va bene salutare l’amica regina Rania, ma innanzi tutto atterra in elicottero sulle rive del Giordano ad Al Maghtas, quasi al confine con Israele, la Betania che da cinquant’anni ricorda la guerra del ’67 ed è circondata di mine, la “casa degli afflitti” che da duemila anni rievoca uno dei luoghi più santi dei vangeli. Bocelli è sempre stato un grande Trovatore, nel senso di Verdi, ma qui arriva come un grande Cercatore, nel senso della vita. Convinto che l’esempio serva più della parola, dice, e come una voce faccia vedere meglio di due occhi: «E’ la mia prima volta nel luogo in cui fu battezzato Gesù. Un posto speciale. Voglio pregare per la pace nel mondo». Sulla riva del fiume l’aspetta di primo pomeriggio monsignor Mauro Lalli, l’incaricato vaticano ad Amman, e l’immersione è breve. Il tempo d’un segno della croce, di bagnare le mani e gli occhi. Di ringraziare un talento mai sprecato: «Il caso non fa parte della vita», è l’idea di Bocelli. E questo piccolo fiume glielo fa sentire: «Il caso è un’illusione – ama ripetere -. Il mio è un messaggio di fede: il fatto che una vita come la mia, quella d’un ragazzo di campagna come tanti altri sia balzata improvvisamente agli onori della cronaca, tutto questo corrisponde a una regia abbastanza precisa. Il talento è un dono che si riceve. Ogni vita è una storia a sé che risponde a una regia precisa».

Un‘Ave Maria e via. È fatto così. In una sola e frenetica settimana, il re del pop operistico si sperimenta nella direzione d’un robot, anziché d’una vera bacchetta (e anche lì un’Ave Maria, cantata però), poi si dà nella straordinaria notte al Colosseo, cade da cavallo (“sarà la cinquantesima volta, da quand’ero bambino: ho ancora qualche doloretto qua e là, soprattutto al fondoschiena, ma per fortuna quello non serve per esibirsi…”), presenta il film sulla sua vita, raccoglie i fondi per le scuole terremotate e di Haiti. Ora, eccolo davanti alla buona società giordana. In una ventosa serata a Jerash, la Gerasa romana, la Pompei d’Oriente. Pineti e uliveti, un paesaggio dolce che ne fa una piccola Toscana. Il Va’ pensiero, mentre quindici chilometri più in là c’è la Siria amara dei morti. Si canta per la pace. E per citare una sua canzone, «forse hanno steso un velo, sotto l’immenso cielo» di Jerash, archi e ninfei di questo miracolo dell’archeologia: meno famoso di Petra, per questo più sorprendente. Bocelli entra nello spettacolare (e quasi unico) Foro Ovale, il colonnato a cui forse s’ispirò il Bernini per San Pietro, finissimi calcari e fontane, 56 capitelli ionici ad abbracciare pubblico e musicisti.

Sul palco c’è anche la soprano Dima Bawab, giovane e giordana, che proprio ascoltando Bocelli in un album comprato da suo padre diventò cantante lirica. Questo concerto l’ha voluto Rania, regina di cuori che ha un affetto speciale per il tenore. L’anno scorso fu premiata lei, a Firenze, con l’Andrea Bocelli Humanitarian Award. E venne a dire che in questa parte di mondo serve un nuovo Rinascimento. Lui ora la ricambia Rania con una serata che faccia un po’ dimenticare il suo no alla cerimonia inaugurale di Trump, la paura delle minacce e degli attentati, aiutando magari a rinascere il più fragile dei Paesi mediorientali. Dov’è il più alto numero di profughi al mondo, in rapporto alla popolazione. Dove le risorse idriche sono le meno ricche della Terra. Fra queste rovine preislamiche, minacciate più volte di distruzione dagl’iconoclasti dell’Isis, che ne vorrebbero fare una Palmira da polverizzare. Jerash è la terra di Gilead narrata nella Bibbia, s’è informato Bocelli: montagne dove nascono gli affluenti del Giordano. Dove il Cristo liberava gl’indemoniati e i Romani fondarono la Decapoli, una delle prime forme di comunità economica. Distrutta dai musulmani, dai terremoti e dalla fine delle carovane che vi sostavano. Oggi si fanno festival, corse delle bighe, finti giochi gladiatori in costume (e urla in latino), ma quel che si vorrebbe è la tutela dell’Unesco: un tesoro da salvare, anche con una serata di canto. Dal Colosseo a Jerash: «Di una sola sono convinto – dice sempre il tenore -, che ci sia una parola che si propaga da queste pietre millenarie: la speranza». Ama citare John Lennon: you may say I’m a dreamer, but I’m not the only one, puoi dire che sono un sognatore, ma non sono l’unico…

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