I veleni dei Pfas, Zaia pronto a varare una legge: “Il governo non agisce”

di CORRADO ZUNINO

ROMA – Non è solo il Veneto a essere inquinato dai Pfas, gli impermeabilizzanti più diffusi al mondo: servono per cerare giacconi e proteggere smartphone, per fabbricare le pellicole antiaderenti delle padelle, la carta da pizza, la sciolina dei fondisti. Il Veneto però, che conosce il problema più grande – l’azienda Miteni di Trissino, provincia di Vicenza -, ha deciso di accelerare nell’affrontarlo.

Il presidente Luca Zaia lunedì scorso ha detto: “I ministeri italiani non vogliono emanare una legge nazionale sui limiti dell’inquinante e allora in questa regione ci arrangeremo. In piena autonomia, procederemo a una drastica riduzione dei limiti dei Pfas che possono essere presenti nelle acque delle rete idrica”. Gli uomini di Zaia parlano di “futuri limiti molto bassi, assimilabili a quelli oggi in vigore in Svezia”. E’ la prima volta che nei confronti dei perfluoroalchilici si definisce un perimetro di pericolosità e se ne fa discendere una legge.

La decisione del presidente del Veneto arriva dopo che lunedì scorso il ministero della Salute – contraddicendo le richieste del 18 maggio e del 23 agosto arrivate dal ministero dell’Ambiente – ha respinto la proposta di realizzare una direttiva nazionale e un conseguente monitoraggio in tutto il Paese: “Il problema Pfas è concentrato solo nelle quattro province di Vicenza, Rovigo, Venezia e Padova”, ha scritto la Direzione generale della prevenzione sanitaria.

In realtà, uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche fatto nel 2013 ha già esteso la questione a “vari territori italiani”: Santa Croce sull’Arno in provincia di Pisa, per esempio, poi il sottobacino Adda-Serio in Lombardia e ancora l’area del Bormida che riceve gli scarichi dagli impianti chimici di Spinetta Marengo (qui siamo in provincia di Alessandria) allargando infine le criticità “all’intera asta del Po da Torino a Ferrara”.

Gli ottanta milioni richiesti al governo per gli interventi strutturali sulle reti idriche non sono stati ancora messi a bilancio (Zaia attacca la Ragioneria generale, l’opposizione locale parla di ritardi della giunta veneta), ma nella zona rossa a Sud di Trissino – 180 chilometri quadrati, 79 comuni – la tensione è alta. Gli operai della Miteni, mercoledì scorso, hanno scioperato per otto ore e lo stesso governatore ha incontrato le “mamme dei Pfas”. Già. In queste settimane sono diventati pubblici i primi controlli clinici avviati a gennaio 2017: riguardano ragazze e ragazzi di 14 anni e, in diversi casi, sono state rintracciate nel sangue tracce di Pfas (e Pfoa) tutt’altro che trascurabili: da 70 fino a 300 nanogrammi per grammo.

Studi nordamericani parlano di una presenza media di 2-3 nanogrammi in ogni persona, ma nessuno finora ha identificato una “soglia di pericolo”. Ai quattordicenni con solfuro di carbonio e acido floridico “sopra la media” è stata offerta – dal 15 settembre – la pulizia del sangue (plasmaferesi). Alcune famiglie hanno accettato. E’ un intervento, dice l’epidemiologo Vincenzo Cordiano, “mai provato nel mondo”.

Greenpeace chiede a Zaia di “bloccare tutte le fonti di inquinamento da Pfas” e di abbassare drasticamente i livelli di sicurezza della sostanza nell’acqua, “attualmente in Veneto sono tra i più alti al mondo”. L’associazione ambientalista oggi presenta una radiografia societaria della Miteni Spa di Trissino. Avvalendosi di un istituto olandese esperto in questo genere di controlli, Greenpeace ha scoperto che “la principale fonte di inquinamento dell’area” (oltre a Miteni nel Nord-Ovest di Vicenza hanno lavorato a lungo molte concerie) è parte di un gruppo chimico internazionale, Icig, controllato da una holding lussemburghese che negli ultimi quattro anni ha pagato un’aliquota fiscale del 13,3 per cento.

La holding, amministrata da due industriali tedeschi, è al 50 per cento nelle mani di un fondo svizzero. Cassaforti dentro cassaforti. Lo studio presentato da Greenpeace definisce il Gruppo Icig “un investitore opportunista che acquista pezzi di grandi conglomerati farmaceutici o chimici non più interessanti per le aziende di origine”. E ancora, “una realtà finanziaria che adotta strategie di acquisizione e vendita aggressive: rileva imprese, le ristruttura tagliando i costi, in particolare quelli del personale, e le rivende con profitto”. Miteni comprò l’azienda di Trissino nel 2009 dal gruppo giapponese Mitsubishi: il valore stimato era di 33,86 milioni, la pagò un euro.

Negli ultimi dieci anni Miteni SpA ha sempre chiuso il bilancio in perdita riducendo la forza lavoro da 176 a 126 dipendenti. Il collegio sindacale considera i “rossi” un rischio per la continuità aziendale e, nel 2016, ha invitato i proprietari a ricapitalizzare. La Procura di Vicenza ha indagato dieci dirigenti dell’azienda per inquinamento di acque e ambiente. Un risanamento serio, e l’eventuale risarcimento dei cittadini danneggiati, ha un costo ipotizzato di almeno 200 milioni di euro, ma nel 2016 Miteni spa sotto questa voce aveva messo a bilancio solo 6,54 milioni (la holding che la controlla, tuttavia, ha disponibilità pari a 239 milioni). “Visti i numerosi studi ambientali commissionati da Mitsubishi prima della vendita”, sostiene il report, e vista la presenza di Brian Anthony McGlynn come consigliere delegato sotto la prima gestione e poi come presidente durante la stagione Icig, “è probabile che i nuovi acquirenti conoscessero i rischi ambientali dell’impresa acquistata”.

L’8 marzo scorso i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Treviso hanno certificato come Mitsubishi e Miteni Spa negli anni 1990, 1996, 2004, 2008 e 2009 abbiano incaricato varie società di consulenza di effettuare indagini sullo stato di inquinamento del sito e, nonostante l’obbligo, “non abbiano mai trasmesso i risultati a Regione, Provincia e comuni”. Conclude il report Greenpeace: “La condotta omissiva di Miteni Spa ha comportato che l’inquinamento da Pfas si propagasse nella falda a chilometri di distanza”.

REP.IT

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