Bombardieri strategici Usa in volo vicino alle coste della Corea del Nord

francesco semprini
new york

Ventiquattro ore al vetriolo quelle che si sono consumate oggi tra Corea del Nord Stati Uniti e Nazioni Unite. Il presidente americano Donald Trump invia caccia bombardieri a ridosso del 38 esimo parallelo nell’ennesima prova di forza mirata al regime nordcoreano, e il ministro degli Esteri di Kim Jong-un risponde annunciando un «inevitabile» lancio di missili verso il territorio Usa. La lunga giornata di tensioni era iniziata con il giallo di una scossa sismica con epicentro nella Corea del Nord, che avevano fatto pensare a un nuovo esperimento nucleare da parte del regime, dopo quello con la bomba a idrogeno del 3 settembre. Gli esperti hanno tuttavia appurato che si è trattato di un evento naturale, allontanando le peggiori delle ipotesi.

A gettare benzina sul fuoco è stato però lo stesso Trump nel corso di un comizio in Alabama nel quale ha di nuovo attaccato il giovane leader: «Fermerò il piccolo pazzo». Incurante dei più miti consigli provenienti anche da alcuni membri del suo staff, l’inquilino della Casa Bianca si abbandona a toni e retorica spinta, sul modello di quanto era accaduto giovedì nel suo intervento ai lavori di apertura della 72 esima Assemblea generale Onu. Dalle parole ai fatti, Trump ha poi ordinato l’invio di otto velivoli da guerra, bombardieri B-1B Lancer, scortati da caccia F-15C, a ridosso della Corea del Nord. «Le manovre – spiega il dipartimento alla Difesa Usa – sono state pensate per dimostrare che il presidente Usa ha molte opzioni militari per sconfiggere ogni minaccia». Il Pentagono sottolinea «la serietà con cui gli Usa prendono i comportamenti sconsiderati della Corea del Nord». Non si tratta della prima prova muscolare americana già protagonista di manovre dimostrative nelle ultime settimane. Mentre al confine con la Corea del Nord sono in corso esercitazioni congiunte Stati Uniti-Corea del Sud.

 

Per alcuni osservatori è la risposta al ministro degli Esteri nordcoreano Ri Yong-ho, che poche ore prima aveva confermato come l’opzione al vaglio di Pyongyang di condurre un test di bomba all’idrogeno nel Pacifico, tra le «azioni di più alto livello» contro gli Usa. Lo stesso Ri si è fatto sentire nel primo pomeriggio, durante il suo intervento – come da programma – dallo scranno più alto dell’Assemblea generale. «Le parole incoscienti e violente di uno chiamato presidente degli Stati Uniti hanno indignato il popolo nordcoreano», dice concedendosi anche lui ai toni da rissa. «Quello che viene chiamato presidente degli Stati Uniti – dice – è una persona mentalmente disturbata», non un «Commander in chief» ma un «Commander in grief», “Comandante nel dolore”, che sta trasformando l’Onu in una «banda di gangster». Secondo il ministro di Kim, il presidente americano «non realizza su ciò che dice, ma noi ci assicureremo che avrà delle conseguenze che andranno molto oltre le sue parole». «Dovranno pensarci due volte prima di lanciare offensive militari», ha aggiunto, sottolineando come Pyongyang «non ha intenzione di usare armi contro i Paesi che non si uniscono agli Usa». Ha invece puntato il dito su Corea del Sud e Giappone, e accusato l’Onu di «un fallimento legato a vecchie pratiche non democratiche nel Consiglio di sicurezza». Infine la promessa solenne a Washington: «Anche Trump è in missione suicida. Se dovesse succedere qualcosa al nostro popolo le conseguenze saranno oltre ogni aspettativa».

LA STAMPA

 

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