Cantone: “Negli atenei un deficit etico, cambiamo le commissioni sui concorsi”

dal nostro inviato CORRADO ZUNINO

LIVORNO. Nel salone al primo piano della Prefettura di Livorno Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, dice: «La Procura di Firenze sta facendo emergere fatti eclatanti, riscontrati da un primo giudice peraltro».

Che quadro ne esce?
«Preoccupante per l’università italiana. Conferma quello che avevo detto, proprio all’ateneo di Firenze, un anno fa».

Disse che eravate subissati di segnalazioni sul malcostume universitario, in particolare sui concorsi.
«Sì, e ricevetti un pacco di lettere di professori indignati».

Per il malcostume?
«No, per quello che avevo detto. Mi scrissero: “Fuori le prove”. Quello universitario è un mondo suscettibile e capace di grandi difese corporative. Il rapporto professionale padre-figlio, ricorrente di per sé, in facoltà è forte».

All’Anac continuano ad arrivare denunce?
«Diverse e alcune le giriamo alle procure di competenza. Ci segnalano, soprattutto, conflitti di interesse che interverrebbero nelle scelte, nei giudizi, nelle promozioni».

Dicevamo il quadro.
«L’ordinanza cautelare mostra un sistema di controllo sui corsi universitari basato su logiche di appartenenza e mai sul merito. A tavolino si decideva chi doveva entrare e chi no».

Presidente Cantone, che cosa si può fare per migliorare l’immagine e mitigare le denunce?
«Da febbraio stiamo lavorando con la ministra Fedeli a uno specifico focus del Piano anticorruzione sull’università che, come sempre, punterà sulla prevenzione».

E che cosa prevede?
«Un ruolo attivo dei responsabili anticorruzione, presenti in ogni ateneo. Dovranno vigilare sulle incompatibilità, ovviamente sui concorsi, soprattutto sugli incarichi professionali esterni e sulle consulenze».

Perché i lavori esterni agli atenei sono un problema?
«Tolgono tempo alla prima missione di un professore: la didattica. E spesso i conflitti di interesse nascono sulle consulenze esterne che rischiano di diventare l’attività più remunerativa».

Il Piano anticorruzione interverrà anche sulle commissioni universitarie?
«No, ma vorrei lanciare un’idea. In ogni commissione, per un’abilitazione, per un concorso, dovrebbe entrare una personalità esterna al mondo accademico. Perché non immaginare uno scrittore a giudicare, insieme agli altri, una prova di Letteratura italiana? Un medico, un ingegnere e un avvocato nello loro discipline? Nessuno vuole sminuire il mondo accademico, ma la contaminazione è un valore. Non conosco una categoria più gelosa delle proprie libertà dei magistrati, eppure nelle commissioni di concorso in magistratura ci sono proprio i docenti universitari».

Pensate a forme di tutela per chi denuncia? L’inchiesta “Chiamata alle armi” è partita da un ricercatore inglese.
«Bisogna aiutare i whistleblowers. A mettersi contro il sistema nell’università italiana si rischia».

Presidente Cantone, la Legge Gelmini nel 2010 provò a blindare i dipartimenti dai familismi.
«È stata una legge dura, persino draconiana. Ha creato barriere, ma si è trovato il modo di aggirarla. Dobbiamo constatare che negli atenei italiani c’è un deficit etico e soprattutto un’abitudine a tollerare l’andazzo, a considerarlo parte del sistema. Questo clima è così pesante che chiunque non sia stato scelto urla all’ingiustizia. Il contenzioso è enorme».

Il grosso dell’università è sano.
«Il lavoro dell’Anac nasce proprio dal tentativo di farlo emergere. Vogliamo aiutare l’accademia italiana a tutelare la propria autonomia. Anche le persone con più capacità, a volte, per sopravvivere devono sottoporsi a pratiche umilianti».

C’è un rapporto tra i finanziamenti diminuiti e la corruzione universitaria?
«Sì. I pochi posti disponibili creano una competitività estrema che può spingere alcuni a mettersi in cordata. Fino al dottorato il percorso è naturale, dopo, nella carriera universitaria, si crea un imbuto stretto che genera il fenomeno della fuga dei cervelli e può alimentare corruzione. La vita di un ricercatore italiano è durissima e rischiosissima».

In molti formatori universitari resiste la cultura del “mettiti dietro di me ed emergerai”.
«La cooptazione non è un male in sé, non lo sono le scuole, non lo è certo il rapporto docente-allievo. Il problema è gestire l’accesso a un concorso, a una scuola e a un lavoro con giustizia. E sulla base del merito».

REP.IT

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