La verità in banca

Mattia Feltri
 

Dopo la commissione d’inchiesta sulla mafia, sugli infortuni sul lavoro e le morti bianche, sulle intimidazioni agli amministratori locali, sulla contraffazione e la pirateria, sul sequestro Moro, sui rifiuti, sul sistema di accoglienza dei migranti, sull’uranio impoverito, sulla morte del militare Scieri, sulla Moby Prince, sulla digitalizzazione e innovazione della pubblica amministrazione (l’unica in rima), sulla sicurezza e il degrado di città e periferie, sulla ricostruzione dell’Aquila e sul femminicidio, i parlamentari hanno deciso di esercitare le loro prerogative di segugi anche sulle banche. Siamo a quindici commissioni d’inchiesta, in questa legislatura. Nella prima, che va dal 1948 al 1953, ce ne furono soltanto due, una sulla disoccupazione, l’altra sulla miseria. Poi i parlamentari ci hanno preso gusto a mettere il naso nelle grandi questioni e nei grandi misteri, e con questa commissione d’inchiesta siamo a ottantasei (media di 1,2 all’anno).

Un’esagerazione? Beh, forse sì, però almeno adesso conosciamo ogni sfumatura dell’inquinamento del fiume Sarno (commissione del 2003), delle stragi e il terrorismo (1988), del terremoto del Belice (1980) e della giungla retributiva (testuale, 1975). Soprattutto, abbiamo le idee chiarissime sulla mafia (commissione inaugurata nel ’62 e diventata permanente) o su Aldo Moro (la prima è del ’79). E stavolta i presupposti sono aurei: è stato eletto presidente della commissione banche Pier Ferdinando Casini, uno che ci crede così tanto da aver votato contro la sua istituzione.
LA STAMPA
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