Italia, qui l’inquinamento uccide di più
La notizia è che l’aria nelle città è migliorata negli ultimi anni, ma nonostante le nuove regole l’Italia primeggia nella triste classifica europea dei morti per inquinamento.
La situazione dell’aria resta molto critica in tante parti d’Italia, indica questo importante rapporto. Si sa che l’aria peggiore c’è nella Valle Padana, ma problemi seri ci sono anche nelle aree metropolitane di Roma e Napoli, a Firenze, in Puglia a cominciare da Taranto, e sulla costa sud est della Sicilia. I responsabili? C’è il traffico automobilistico, come si può facilmente immaginare, a partire dai motori diesel. Ma con qualche sorpresa, oltre all’industria e al riscaldamento residenziale, ormai pesano in modo significativo anche il riscaldamento a biomasse legnose, tradizionali o a pellet (soprattutto a Milano e Firenze), e l’agricoltura, che genera molta ammoniaca.
L’aria inquinata è un problema continentale: secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente in Europa ogni anno si registrano oltre 500.000 morti premature a causa dell’inquinamento atmosferico, circa 20 volte il numero di vittime per incidenti stradali. Per la Commissione Ue, i costi connessi agli impatti sulla salute dell’inquinamento atmosferico pesano tra il 2 e il 6% del Pil europeo. Ma l’Italia va peggio: siamo in procedura di infrazione sia per il particolato che per il biossido di azoto. Per le PM2,5, le polveri sottili più fini, segniamo valori di concentrazione record, così come per l’ozono. E quel che conta, non stiamo migliorando abbastanza: di questo passo non rispetteremo i target fissati per il 2030 dalla nuova direttiva europea sugli inquinanti atmosferici.
IL TRAFFICO
Come detto, il traffico stradale è il maggior responsabile dell’inquinamento, soprattutto per ossidi di azoto e particolato. Ma i dati rivelano che ci sono altre sorgenti di inquinamento, finora poco o nulla considerate, come la biomassa legnosa. Tra il 1990 e il 2015 la quota del legno per i consumi energetici nel settore residenziale è passata dal 13 al 25%. Secondo l’Ispra, la combustione di biomasse è responsabile del 99% delle emissioni di particolato del settore residenziale. Le tecnologie «tradizionali» (caminetti aperti e stufe manuali), che rappresentavano il 74% degli impianti in Italia nel 2012, sono stati responsabili del 90% delle emissioni di particolato del settore, contro il 9% di emissioni imputabili alle tecnologie «avanzate» (stufe a pellet, caminetti chiusi e stufe a ricarica automatica. Resta il fatto che a Milano la combustione del legno, specie in impianti a bassa efficienza, vale addirittura il 20% delle PM10 totali. Scopriamo poi il ruolo dell’«inquinamento extraurbano»: la produzione agricola (con i fertilizzanti) e la zootecnia. E infine, c’è l’industria, la generazione elettrica e lo smaltimento dei rifiuti: le innovazioni tecnologiche non hanno risolto.
Il rapporto propone un decalogo di interventi per affrontare il problema. Varare una strategia nazionale per la qualità dell’aria, ridurre le auto private in città, inserire gli obiettivi su clima e inquinamento nelle politiche energetiche, dare più risorse per il trasporto pubblico condiviso, finanziare la ricerca e il monitoraggio, migliorare le performances ambientali dei mezzi di trasporto, riqualificare edifici pubblici e privati, limitare le biomasse per il riscaldamento domestico, controllare le emissioni dell’agricoltura, migliorare le tecnologie nell’industria.
Proposte serie, che però non sembrano nei piani del governo. Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, è preoccupato. «Onestamente per il momento vedo poco impegno – spiega – nonostante qualche visibile miglioramento, mi pare che Comuni e territori siano lasciati da soli ad affrontare un problema che richiederebbe ben altri interventi». E gli accordi tra ministero dell’Ambiente e Regioni, come quello firmato da Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna? «Certamente sono utili – commenta Ronchi – ma solo a livello di cornice, per gli obiettivi che pongono. Quanto invece alle misure in grado di avere un impatto reale, hanno effetti davvero limitati».
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