Tutti gli interrogativi sul piano Minniti: chi certificherà il rispetto del “patto”?
Sul piano dell’impegno e della coerenza poco si può rimproverare al ministro Marco Minniti.
Sin dal suo insediamento al Viminale ripete che la capacità d’integrazione è l’unica misura dell’accoglienza possibile. E sulla base di quel karma ha ridotto i flussi del 21,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016.
In quella stessa ottica il ministro lancia ora un Piano nazionale per l’integrazione rivolto a facilitare l’inserimento di 19mila minori non accompagnati e di 75mila profughi a cui sono stati riconosciuti l’asilo o una forma sussidiaria di protezione. Insomma 94mila stranieri a cui vanno garantiti i diritti all’alloggio, all’assistenza sanitaria e al lavoro già previsti per legge. Il tutto sulla base d’un patto reciproco in cui agli obblighi assunti dall’Italia corrisponde l’impegno degli «ospiti» ad apprendere la lingua del nostro Paese e a rispettare leggi e valori dello Stato Italiano. Un primo immediato dubbio riguarda i titoli in base ai quali viene accordata la «protezione». Tra i minori non accompagnati si nascondono, come dimostrano molte inchieste di polizia e carabinieri, tanti maggiorenni che hanno usufruito della facile scappatoia per garantirsi l’accoglienza.
Per certificata ammissione del Viminale sappiamo, inoltre, che tra i 74.853 beneficiari della «protezione» vi sono 47.814 soggetti a cui non è garantito l’asilo, ma solo una protezione sussidiaria non riconosciuta per legge da altri Paesi europei. Insomma solo il 36 cento di quelli a cui promettiamo lavoro, casa, istruzione e assistenza medica sono profughi a pieno titolo. E qui sorge il problema. Se attuare i diritti riconosciuti per legge ai titolari della protezione internazionale è ineccepibile, lo è anche pretendere efficaci controlli sulle commissioni regionali distintesi per prodigalità e mancanza di verifiche nella concessione di quei titoli. Per non parlare dell’esigenza d’una revisione legislativa rivolta a eliminare la fumosa categoria della protezione sussidiaria. Per quanto riguarda il «patto» proposto da Minniti vien da chiedersi, invece, chi garantirà che i diritti riconosciuti ai nuovi arrivati non diventino più pressanti e urgenti di quelli riservati ai nostri concittadini. Un rischio non proprio infondato come dimostrano le tristi vicende di tanti italiani in stato d’indigenza ritrovatisi discriminati nella concessione degli alloggi rispetto ai migranti. Un timore reso ancor più concreto dalla presenza di oltre cento milioni di fondi europei destinati ai titolari della protezione internazionale mentre non ne esistono di equivalenti per chi è nato e vissuto in Italia. C’è da chiedersi, inoltre, chi certificherà il rispetto degli impegni assunti dai «protetti». Se uno di loro – ottenute casa, assistenza sanitaria e lavoro – incomincerà a predicare la superiorità della sharia sulle leggi dello Stato sarà possibile privarlo dei benefici concessi? E chi sarà tenuto a farlo? E sempre per quanto riguarda la componente islamica di quei 94mila va ricordato che a tutt’oggi Minniti deve ancora metter mano a quell’elenco degli imam indispensabile per garantire l’adesione ai valori nazionali dei predicatori presenti nelle moschee italiane. E per concludere una chiosa non proprio ininfluente. Per l’anno che verrà l’America, paese di 325 milioni di abitanti, ritiene di poter garantire l’accesso di non più di 45mila migranti. L’Italia da sola si prepara a regolarizzarne 94mila.
IL GIORNALE