La lentezza con cui la politica si muove per dare risposte ai bisogni concreti raggiunge spesso sfumature da farsa, ma quando le risposte attese toccano le corde più sensibili, può trasformarsi in tragedia. Il grido d’aiuto che sale da milioni di famiglie che curano in casa i loro cari malati o disabili è rimasto inascoltato. Da anni prendono polvere tre proposte di legge per riconoscere la figura del caregiver. La politica aveva altro di cui occuparsi, distratta dalla campagna elettorale permanente, dove è più cool fare dibattiti sulle fake news, i social, il Mattarellum o il Rosatellum.

Le famiglie che soffrono in casa non fanno rumore, solo chi grida in piazza buca l’audience. La maggioranza silenziosa vive le proprie tragedie con dignità persino eccessiva. In passato la politica ha ascoltato i bisogni sociali. E ci sono regioni, come l’Emilia-Romagna, ancora all’avanguardia.

Oggi non è più rinviabile una legislazione che riconosca i diritti e i bisogni di chi assiste in casa i parenti: contributi figurativi, un percorso di reinserimento per tornare a lavorare, un welfare leggero che affianchi la famiglia dandole respiro (come i soggiorni brevi di sollievo). Lo Stato deve riconoscere che un malato non è una monade isolata: ha anche un figlio, un nipote, un coniuge. Anche loro soffrono.

La legge sui caregiver è anche l’occasione per costruire un nuovo welfare. Non nascondiamoci dietro il tabù delle coperture: se il sistema del welfare attuale non regge più finanziariamente, non può reggersi sulle spalle delle famiglie. Se nulla cambia, nel medio lungo periodo non si risparmia nulla: si creano piuttosto nuove urgenze, nuovi malati, nuove spese per i servizi pubblici. Rinviare la legge sui caregiver sarebbe una miopia politica pericolosa per la tenuta della società e anche dei conti pubblici.

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