Droghe a uso terapeutico, a che punto è la ricerca?

nadia ferrigo
torino

Non esistono piante buone e piante cattive: tutto dipende da come vengono usate. Nonostante le straordinarie potenzialità delle sostanze stupefacenti e psicoattive, la ricerca scientifica deve ancora scontare decenni di proibizionismo. Ci si è limitati a vietare, dimenticandosi – e anzi, rendendo nella maggior parte dei casi impossibile – ricerca e sperimentazione. Venerdì 29 settembre nell’Aula Magna del Campus Luigi Einaudi si è tenuto il convegno “Terapie Stupefacenti” organizzato dall’associazione Luca Coscioni e dedicato al diritto alla scienza e alla libertà di ricerca sulle sostanze stupefacenti e psicotrope: accademici ed esperti internazionali hanno affrontato sia i profili legali che scientifici del possibile uso terapeutico delle droghe.

 La ricerca scientifica su MdMa, ibogaina e psilocibina

Prendiamo la storia dell’MdMa, sintetizzata per la prima volta nel 1912 dall’azienda chimica e farmaceutica tedesca Merk, che la voleva usare come agente coagulante. Non se ne fece nulla per molti anni: negli anni Settanta negli Stati Uniti era ancora legale, così alcuni terapisti iniziarono ad usarla, come ha spiegato nel suo intervento Natalie Lyla Ginsberg della Maps, la Multidisciplinary Association fo Psychedelic Studies. Quando iniziò la guerra alla droga, fu ribattezzata ecstasy: l’uso ricreativo si diffuse, fino a che diventò illegale. La Mpas ora sta portando avanti un trial clinico approvato dalla Fda perché l’MdMa possa presto diventare una medicina che può essere prescritta.

 

Così l’ibogaina, molecola psicoattiva presente in diverse piante, illegale in diverse nazioni a causa delle sue proprietà allucinogene, ma sempre più usata per il trattamento della tossicodipendenza, come ha spiegato nel suo intervento Jose Carlos Bouso, ricercatore dell’International Center for Ethnobotanical Education Research and Service. David Erritzoe ha presentato i risultati della ricerca condotta all’Imperial College nella cura della depressione con la psilocibina, triptammina psichedelica presente in alcuni funghi psichedelici, mentre il collega Chris Timmerman studia la dinamica delle attività celebrali indotte dalla Dmt, triptammina psichedelica endogena presente in molte piante e nel fluido cerebrospinale degli esseri umani, sintetizzata per la prima volta nel 1931.

E in Italia? La rivoluzione della cannabis terapeutica

 

«Purtroppo l’Italia con le droghe dai primi anni Novanta ha un rapporto molto complicato e la scienza ne ha pagato le conseguenze. Sulla cannabis si sono mossi prima i pazienti, ora anche l’accademia si sta aggiungendo – commenta Marco Perduca, dell’associazione Luca Coscioni -. Tra le priorità, c’è quella di investire nella ricerca e mettere a punto dei trial clinici». Come ha dimostrato il lavoro di Nicola Bragazzi, ricercatore del dipartimento di medicina sperimentale di Genova, che ha analizzato gli studi scientifici sulla cannabis terapeutica, manca una ricerca scientifica sistematica e abbastanza ampia. «Ora la cannabis terapeutica si può prescrivere, ma esclusivamente “off label” – ha spiegato Paolo Poli, presidente della Sirca, la Società italiana ricerca cannabis ed esperto di terapia del dolore -, cioè una situazione in cui mancano indicazioni scientifiche su dosaggi e tempi di somministrazione». Secondo Poli, che a Pisa sperimenta da alcuni anni la cannabis su pazienti affetti da varie patologie, i problemi da risolvere in Italia sono quattro: «Bisogna concentrarsi su studi clinici, investimenti economici, il reperimento della cannabis e sulla formazione dei medici».

LA STAMPA

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