Il piano del Pd per lo Ius soli. Convincere gli alfaniani a uscire dall’aula del Senato
«Io voglio farcela, voglio portare a casa lo ius soli». Nel tardo pomeriggio, in un Senato ormai quasi deserto dopo le votazioni del Def, il capogruppo del Pd Luigi Zanda lascia ancora una possibilità alla legge sulla cittadinanza. Riservatamente, sottotraccia, lì a Palazzo Madama dove il provvedimento è spiaggiato da due anni, si continua a lavorare: e chi, nei piani dei dem, potrebbe aiutare a raggiungere l’obiettivo, sono proprio gli alfaniani che hanno imposto uno stop al testo.
Una bocciatura arrivata una decina di giorni fa: «Una cosa giusta fatta al momento sbagliato può diventare una cosa sbagliata», la spiegazione del leader di Ap, il ministro Alfano. Tanto netta da far sbilanciare la sottosegretaria Boschi – «non ci sono i numeri» – e convincere molti che le speranze di far passare la legge sono ridotte al lumicino. Sono cominciate le critiche e le iniziative di protesta: l’ultima in ordine di tempo, lo sciopero della fame a staffetta a cui aderiscono il ministro Graziano Delrio («il parlamentare risponde alla nazione, non alla disciplina di partito: sui diritti civili non ci si astiene») e altri membri del governo (il viceministro Mario Giro, i sottosegretari Della Vedova, Olivero e Rughetti), oltre a una settantina di parlamentari e, in forse, la presidente della Camera Boldrini.
Eppure, senza troppo darne notizia, c’è chi tra i dem del Senato non ha desistito, lavorando dietro le quinte per convincere gli alleati e permettere al premier Gentiloni di mantenere la promessa: «La approviamo entro l’autunno».
Il piano messo a punto dal Pd prevede il coinvolgimento di Alfano e la sua truppa (in Senato sono 24), ma senza pretendere che votino la legge. La proposta che stanno avanzando al ministro degli Esteri e ai suoi è una sorta di compromesso: lasciate che portiamo il testo in Aula, che lo votiamo con chi ci sta (Sinistra italiana, dall’opposizione, ha dato la disponibilità addirittura a una “fiducia di scopo”), e voi dateci una mano uscendo dall’Aula, abbassando i numeri per ottenere una maggioranza. Tranne chi di loro – e qualcuno ci sarebbe – se la dovesse sentire di dare il suo sì a titolo personale. In questo modo, è il ragionamento dei dem, i centristi andrebbero incontro al mondo cattolico più vicino a papa Francesco – quello che col segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino ha biasimato il fatto che si sia accelerato sui diritti gay e non su quelli di cittadinanza – ma senza intestarsi la legge. Una via di mezzo non scontata, visto che i voti sono faticosamente da cercare uno a uno, ma che se realizzata faciliterebbe anche la discussione in corso tra Pd e Ap su una possibile alleanza futura.
E che ci sia qualche spiraglio di apertura, lo si capisce dalle parole della senatrice Simona Vicari: «Ho parlato col ministro Finocchiaro: se ci daranno la possibilità di andare un minimo avanti e non fare tristi battaglie elettorali ce la possiamo fare». Al momento, ufficialmente, la richiesta di Ap è di qualche modifica al testo. Il problema sono i tempi stretti: «L’ideale sarebbe chiudere in Aula prima delle Regionali siciliane di novembre, perché, dopo, può succedere di tutto», rivela chi è al corrente della trattativa, alludendo al rischio di fibrillazioni se il Pd, come previsto dai sondaggi, dovesse andare male nell’isola.
Il segretario dem, Matteo Renzi, di ius soli non parla più. È una legge che, giura, avrebbe voluto portare a casa, ma ha lasciato che sia Gentiloni a decidere come affrontare la questione «e per noi andrà bene», il suo ritornello. Non a caso, ieri, né dal giornale online Democratica né dalla sua enews ha espresso una parola sullo sciopero della fame. Lascia che tra governo e Palazzo Madama si lavori per cercare i numeri necessari e convincere Alfano e i suoi a una “collaborazione passiva”. «Non so se ci sarà la maggioranza o meno», commenta Delrio, ormai volto di questa battaglia: «Se non ce la facciamo, amen: ma mi interessa fare un dibattito tranquillo e ragionevole».
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