Rosatellum alla Camera. Cresce l’ipotesi della fiducia

carlo bertini
roma

Si siede accanto a Marco Minniti e Paolo Gentiloni per provare a dare l’idea di squadra: e quando prende la parola, Matteo Renzi compie la svolta a sinistra di fronte alla Direzione del suo partito. Una svolta lessicale, ma la forma conta: quando dice che «sulla sicurezza e sul lavoro serve una grande battaglia culturale contro i nostri avversari… Che non sono quelli che se ne sono andati via da qui», tutti fanno un balzo pensando a Bersani e D’Alema. L’apertura a sinistra c’è, ma senza corteggiare chi lo attacca. Una frase distensiva – del tipo i nostri nemici non sono loro, i fuoriusciti dal Pd – per far capire che è finito il tempo di un Pd autosufficiente.

 VINCE LA LINEA FRANCESCHINI

Ovviamente Dario Franceschini gongola, i maligni dicono che abbia annullato un paio di presentazioni del suo libro per non mancare. I suoi sostengono che quando lui e Renzi si sono parlati alla festa di Imola il segretario gli abbia reso l’onore delle armi, con una battuta, «Dario, hai vinto su tutta la linea», seguita da una risata conciliatoria. Essendo stato il primo a battersi per una legge che favorisse le coalizioni, Franceschini in Direzione non interviene, porta a casa il risultato in silenzio da ex Dc. Ma ci pensa il capogruppo Rosato a sfatare gli equivoci sul perimetro delle alleanze: « ci si mette insieme perchè si hanno idee compatibili e si ha un progetto comune».

 

MA CON MDP RESTA IL GELO

Quindi non con Mdp. Tutti i renziani doc sanno che il capo parla più che altro a Pisapia: che non nomina mai, ma che resta l’oggetto del desiderio: tanto più che a Bersani riserva pure una stoccatina Renzi, quando ricorda che «chi mi ha preceduto era contro le preferenze», a proposito di chi cambia sempre idea. «Quando gli altri sono in difficoltà, bisogna incunearsi nelle loro contraddizioni», spiega il segretario del pd toscano Dario Parrini. «Ed ora è il momento di aprire al massimo a Pisapia, quindi Matteo ha parlato a chi dentro Mdp comincia a capire che D’Alema li sta portando in un burrone». Ma con Mdp non è possibile un’alleanza mascherata nei collegi, con il Rosatellum non sono possibili forme di desistenza o rinunciare a candidati nei seggi.

 

Perciò qualcuno si batte per il voto disgiunto. Lo fa Gianni Cuperlo: poter votare un candidato Pd contro le destre nel maggioritario; e allo stesso tempo poter votare la lista Mdp nella parte proporzionale, servirebbe a tenere aperta la porta anche ai compagni fuoriusciti. «Potrebbe essere una via per riaprire il cantiere della coalizione, rendendo più flessibili le alleanze senza camicie di forza poco praticabili», visto che con Mdp i rapporti «ora sono sotto il minimo sindacale». Stesso tema toccato da Orlando, che apprezza la svolta di Renzi sul fatto che bisogna costruire nei collegi la coalizione per vincere: «Bisogna tenere aperto il dialogo con Mdp, anche sulla legge di bilancio». Tutti pensano che con il Rosatellum si riaprano i giochi e il clima di colpo cambierebbe. Per questo vogliono portarlo a casa.

 

IL PIANO DEL GOVERNO

Ma è sempre Cuperlo a toccare il nervo scoperto, il punto più delicato: «Suggerisco di non sfidare le opposizioni con un voto di fiducia delle Camere. Abbiamo già sperimentato le conseguenze ed eviterei di offrire ai nostri avversari un argomento di polemica». Ma la questione resta sul tavolo, anche ieri se ne parlava ai massimi livelli. Nessuno dei big Pd la conferma e il motivo è ovvio: con la legge ancora al voto in commissione, inutile creare un putiferio. Ma l’ipotesi che venga posta la questione di fiducia in aula alla Camera cresce, gli strateghi renziani sanno che sarebbe la strada meno impervia: eviterebbe il calvario di novanta voti segreti sugli emendamenti, ne resterebbe solo uno sul voto finale della legge. L’ultima parola spetterà al governo, il dado non è ancora tratto: ma si dovrà decidere entro martedì prima di andare in aula.

LA STAMPA

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