Le allegre ricette della politica economica
Come sarà la politica economica dell’Italia nella prossima legislatura? Dipende dal governo che uscirà dalle elezioni, si potrebbe rispondere. Ma forse qualche indizio si può già trarre dalle mozioni che i vari gruppi hanno presentato in Parlamento nel dibattito sul Def. Documenti spesso rivelatori perché destinati a non essere letti da nessuno, dunque scritti senza troppi freni inibitori. Il Movimento Cinquestelle, per esempio, nella mozione presentata nel dibattito del mattino al Senato impegnava il governo «a sospendere… il rispetto dell’indebitamento entro il 3% fino al conseguimento di uno stato di benessere sociale… pari ai livelli più elevati della media europea». Chiedeva cioè di derogare unilateralmente non al Fiscal Compact, ma direttamente al Trattato di Maastricht, che ha fondato l’Unione Europea, e dunque a uscire di fatto dall’euro. Un po’ grossa, per chi nel frattempo ha scelto come leader uno come Di Maio, appena andato a Cernobbio per rassicurare la business community che i barbari non sono alle porte. E così, tra il mattino e il pomeriggio, la frase scompare dalla mozione grillina presentata alla Camera. Il che fa presagire quantomeno un certo caos programmatico sotto il cielo dei Cinquestelle, in caso di vittoria. L’altro candidato al governo del Paese, il centrodestra che prova a riunirsi dopo tanti dissidi, riserva invece una clamorosa sorpresa in materia di pensioni.
Nemmeno la Cgil osa
La coalizione che per prima provò a riformare un insostenibile sistema previdenziale negli anni 90 e che poi votò le riforme di Dini e di Maroni impegna ora il governo «a modificare in maniera drastica e strutturale» la legge Fornero, che fu votata anche da Forza Italia, «al fine di abbassare l’età per l’accesso al pensionamento, reinserendo il sistema delle quote e le pensioni di anzianità». Tornare alle pensioni di anzianità equivarrebbe a disintegrare l’equilibrio del sistema così faticosamente raggiunto, qualcosa che nemmeno la Cgil osa più proporre. Anche in materia di immigrazione il centrodestra chiede la luna nella sua mozione. Sotto la spinta della Lega di Salvini, e per averne la firma sul documento comune, propone infatti di «impiegare le risorse nazionali destinate al settore dell’immigrazione e dell’accoglienza a interventi a favore dei cittadini che si trovano in stato di disoccupazione e grave difficoltà».
Lo zelo dei verdiniani
Ora, mentre è legittimo provare a ridurre l’afflusso di migranti quando diventa insostenibile, non si vede che cosa si possa fare di quelli già arrivati e in attesa di sapere se hanno diritto alla protezione umanitaria, qualora non ci fossero più fondi per ospitarli e sfamarli. Resta il Pd. Per adesso le sue posizioni si debbono dedurre da quelle del governo, contenute nel Def. Ma per il dopo, e per la campagna elettorale, non si può dire. Renzi per esempio aveva lanciato l’idea, subito accantonata da Gentiloni e Padoan, di denunciare l’accordo europeo sul Fiscal Compact dall’Italia sottoscritto. Se il governo l’avesse fatto, ora non godrebbe certo della notevole flessibilità concessa da Bruxelles sulla via del risanamento (ormai il pareggio di bilancio è previsto nel 2020). Ma nell’Aula del Senato ci ha pensato lo zelo dei senatori verdiniani a mettere nero su bianco ciò che oggi nemmeno Renzi dice più: «Se l’asticella del deficit di bilancio potesse essere fissata al 2,9%, rispettando le regole di Maastricht ma non del Fiscal Compact, l’Italia avrebbe a disposizione altri 23 miliardi da poter destinare agli investimenti e alla riduzione del carico fiscale». Ciò che i nostri senatori non dicono è che quei 23 miliardi sarebbero presi a prestito, accrescendo il nostro già immane debito, e che i creditori ce li farebbero pagare ben più cari, rimangiandoseli con gli interessi. Soprattutto se nel frattempo avessero per caso letto le mozioni presentate in Parlamento dai partiti che si propongono di governare l’Italia nella prossima legislatura.
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