La macelleria dei sogni di latta
Caro direttore, sarà pure «una proiezione dell’immaginario collettivo», ma quando il diavolo creò la celebrità non pensava davvero di mettere in moto l’afrodisiaco più forte al mondo e il fenomeno sociale più buio e insondabile. Soprattutto cannibalesco. Perché è tipico dello star-system essere onnivoro: tutto ciò che riguarda i suoi personaggi gli appartiene, tutto fa parte della sua scena e del suo mito. Harvey Weinstein non è una anomalia porcaiola dello showbiz ma il solito prodotto «made in Hollywood», erede della sordida tradizione che vede i magnati del cinema abusare del loro potere.
Nel 1992 scrissi e diressi un film, Mutande pazze, per narrare questa macelleria di sogni di latta spacciata per Fabbrica dei Sogni. Un destino cinico che costringe l’aspirante Marylin a sbattersi come un Moulinex per una posa cinematografica, ad agitarsi come un Pastamatic per una cena con uso di vippaio, più voluttuosa di un rasoio Braun davanti al politico in auge, più centrifugate di una lavatrice Candy dietro al funzionario televisivo. Sfruttate, taglieggiate, ignorate, destinate a passare la loro vita tra un’audizione e una mortificazione, migliaia di «celebro-lese» costeggiano ogni giorno l’orlo di un burrone con le ruote già quasi fuori, la sterzata all’ultimo minuto. Se si rientra in carreggiata si può venire meno, perdere il coraggio, fermarsi. La libidine del successo, nella sua forza, è diventato il loro Fato Debole. Con una chiappa a destra e un’acchiappata a sinistra, hanno preso il sopravvento le Favolose Nullità, un nulla mischiato con l’ambizione più sfrenata, che amministrano con freddezza da Bancomat il loro corpo. Aaaaah! Mi sbatte sul divano! Uuuuuh! esce il contratto! Il successo è la migliore vendetta a una vita da mille e duecento euro mensili, giustificazione finale di tanto tirar giù mutande. E se non si conclude niente, magari parte la denuncia per atti di libidine o si scodella tutto al settimanale «familiare» e diventa «famosa» lo stesso.
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