Berlusconi: «Niente larghe intese E chi ha più voti decide il premier»

Con Matteo Salvini, rivela, esiste un sorta di patto pre-elettorale: «Chi avrà più voti indicherà al capo dello Stato il nome del premier per l’intera coalizione di centrodestra». Quindi esclude un governo di larghe intese con il Pd? «Assolutamente. Con cinque mesi di campagna elettorale, cui dedicherò tutto me stesso, Forza Italia supererà ampiamente il 20%». Silvio Berlusconi non ha nessuna intenzione di mollare. A Ischia, pochi giorni fa, alcune sue parole, poco più di battuta, sono state fraintese. Annuncia invece un suo impegno massiccio da qui al voto delle Politiche, a marzo. Invita «convintamente» tutti gli elettori azzurri a votare sì ai referendum in Lombardia e Veneto. Infine legge nel voto austriaco una lezione che vale per il tutto il Vecchio Continente: «La sinistra non è più in grado di dare risposte ai cittadini europei».

In Austria il centrodestra ha sbancato le elezioni, ma l’estrema destra ottiene un bottino inedito.
«Il voto in Austria conferma che, nell’Europa di oggi e di domani, è vincente e centrale soltanto una seria forza popolare e liberale. A Vienna, nessun governo potrà mai prescindere dai 62 seggi ottenuti dall’Ovp di Sebastian Kurz, che esattamente come Forza Italia si colloca nel Partito popolare europeo: la “forza calma”, che garantisce il buon governo e che evita passi falsi».

Non c’è il rischio di un isolamento dell’Austria?
«No, sono convinto che Kurz non eleverà alcuna barriera, e che non vorrà assolutamente “isolare” l’Austria. Con la forza del suo quasi 32% di consensi, invece, sarà perfettamente in grado di contenere e moderare le spinte più eccessive e oltranziste che potessero eventualmente venire dall’altro vincitore di questo voto: il Partito della libertà guidato da Heinz-Christian Strache, che ha ottenuto un risultato non clamoroso, ma ugualmente positivo».

Chi sono gli sconfitti?
«I veri sconfitti sono i socialdemocratici del cancelliere uscente, Christian Kern. Anche in Austria la sinistra di governo non ha convinto gli elettori, e anzi ha ottenuto il peggior risultato elettorale della sua storia. Come in Italia e in tutt’Europa la sinistra non ha saputo e non sa dare corrette risposte alle domande che agitano la contemporaneità, come l’immigrazione indiscriminata, la lotta al terrorismo, il lavoro per i giovani. È questa convinzione che mi rende ottimista sul futuro: dopo Germania e Austria, anche in Italia solo una forza di governo affidata a un centrodestra liberale potrà dare una risposta concreta alle attese degli italiani».

I sondaggi continuano a dire che voi e Lega uniti siete avanti a tutti, quali sono le sue previsioni?
«Di vincere le elezioni, governare e di cambiare il Paese, con i nostri alleati del centro-destra. Un centrodestra aperto e plurale, formato non da professionisti della politica ma da persone che nella vita professionale, nel lavoro, nell’impresa, nella cultura, nell’impegno civile, abbiano dimostrato onestà assoluta, serietà, capacità concrete di realizzare le cose, di saper raggiungere con l’intelligenza, il lavoro e il sacrificio i traguardi che si sono dati».

Com’è il suo rapporto personale con Salvini? E chi voterà centrodestra a chi deve pensare come leader guida di un governo possibile, dopo il voto?
«Salvini è irruente all’esterno. È quello il suo stile e il suo modo di conquistare consensi, ma quando ci sediamo intorno a un tavolo è un interlocutore serio e ragionevole. Con lui siamo d’accordo sul fatto che la forza politica del centrodestra che prenderà più voti sarà quella che indicherà al capo dello Stato il nome del premier per l’intera coalizione. Io non ho alcun dubbio sul fatto che quel nome lo dovremo indicare noi. Stiamo valutando diverse figure, ma naturalmente non ne nominerò nessuna, visto il polverone mediatico che si era sollevato quando in passato avevo citato qualche nome solo a titolo di esempio per indicare una tipologia di candidato».

La legge elettorale passerà al Senato, darete una mano alla maggioranza?
«Direi che senz’altro passerà. Mi pare che esista — come è giusto su questa materia — un consenso vasto e il deplorevole fenomeno dei franchi tiratori si è dimostrato fortunatamente limitato. Non è la migliore legge elettorale possibile, io avrei preferito un proporzionale puro (20% di voti uguale a 20% di parlamentari) sul quale in passato tutti d’altronde si erano detti d’accordo. Ma oggi questa legge è però il migliore compromesso possibile. Non potevamo sottrarci alla responsabilità di mandare a votare gli italiani con una legge coerente, come chiesto giustamente anche dal capo dello Stato. L’essenziale è che a questo punto gli elettori dopo quattro governi di sinistra che non sono mai stati votati dagli italiani, possano scegliere la migliore soluzione».

Ogni tanto lei dice che è pronto a mollare tutto, ma poi è sempre lì. Le pesa restare in politica? Quanto sacrifica della sua vita privata?
«Sono qui esclusivamente per senso di responsabilità nei confronti dei miei figli, dei miei nipoti, degli italiani che mi hanno dato in vent’anni più di 200 milioni di voti. In effetti penso che se per assurdo gli italiani scegliessero di essere governati da chi, come i candidati del Movimento Cinque Stelle, che non hanno mai lavorato in vita loro, le conseguenze per tutti noi sarebbero gravissime. Ma spero che gli italiani dimostrino maturità e saggezza. E l’affetto e il calore straordinario che avverto intorno a me ovunque vada è la prima ragione per la quale sento il dovere di andare avanti e nonostante i sacrifici, i torti e le sofferenze che ho dovuto subire da quando sono sceso in campo. Non solo io, ma con me i miei familiari e i miei amici. Nella mia vita quando mi sono dato un traguardo l’ho sempre raggiunto, anche quando tutti erano scettici e ironizzavano prevedendo un mio fallimento. A maggior ragione non rinuncerò questa volta al traguardo più importante di tutti: la rivoluzione liberale per cambiare alla radice il Paese che amo salvandolo dall’oppressione fiscale, dall’oppressione burocratica, dall’oppressione giudiziaria».

Forza Italia storicamente è sottostimata nei sondaggi, oggi viene data intorno al 15%, così come la Lega. Pensa possa superare il 20% con la sua campagna elettorale?
«I miei obbiettivi sono molto più ambiziosi. Nel 2013, in ventitré giorni di campagna elettorale, ho fatto ricuperare 10 punti a Forza Italia. Stavolta abbiamo davanti 5 o 6 mesi che dedicherò principalmente a questo, quindi a far conoscere agli italiani il nostro programma e a farli riflettere su chi sarà in grado davvero di cambiare l’Italia».

Se nessuno vincesse le Politiche potrebbe esserci la necessità di un governo di larghe intese Pd-Forza Italia?
«Lo escludo. Il problema non si porrà nemmeno, perché vinceremo noi».

Fra pochi giorni il Pd apre una conferenza programmatica. In Italia si parla poco di programmi, anche del vostro.
«Sono contento che finalmente ci sia una domanda su questo. Per la verità, io ne parlo continuamente, perché credo che agli italiani non interessi il teatrino della politica, ma vogliano idee concrete per far uscire finalmente l’Italia dalla crisi. Il nostro programma ha una particolarità: è nato dal confronto con gruppi di cittadini, che non avevano votato nelle ultime elezioni e che avevano già deciso di non votare anche la prossima volta. Lo abbiamo scritto per così dire a quattro mani con loro, punto per punto. Poi l’ho riassunto graficamente in un Albero della Libertà che affonda le radici nei nostri valori e che su ogni ramo contiene le nostre proposte. In estrema sintesi? Meno tasse, meno Stato, meno burocrazia italiana ed europea, più aiuto a chi ha bisogno, più sicurezza per tutti e più garanzie per ciascuno».

Che suggerimento darà ai suoi elettori per il referendum in Lombardia e Veneto?
«Noi voteremo convintamente sì, perché non è un referendum contro l’unità nazionale, è un referendum che la rafforza. Non è neanche un referendum di parte, raccoglie consensi trasversali. Nulla a che vedere con la Catalogna, un dramma che io spero si risolva pacificamente e nel quadro della legalità costituzionale spagnola».

Quindi lei crede nelle ragioni referendarie?
«Nel caso della Lombardia e del Veneto si tratta di dare più potere e più competenze ad amministrazioni che hanno dimostrato di funzionare bene. Questo non è egoismo regionale: se le due locomotive d’Italia funzionano meglio, ne guadagna l’intero Paese. D’altronde a me piacerebbe che non solo Veneto e Lombardia, ma tutte le Regioni italiane, potessero godere di maggiore autonomia, di poteri più chiari e definiti. Si compirebbe quel federalismo che è nei nostri programmi dal ‘94 e che abbiamo già provato ad introdurre nella riforma varata nel 2005, ma bocciata poi dalla sinistra per ragioni solo ideologiche. La sinistra si comporta sempre così. La politica del “tanto peggio, tanto meglio” per loro è una costante».

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