Dall’articolo 18 al fine vita. Così l’Anm umilia le Camere

Più di un decennio di ingerenze. E di invasioni di campo. In barba ai richiami all’imparzialità, l’Anm ha sempre svolto un ruolo più da partito politico che da sindacato delle toghe.

Ius soli, fine vita, unioni gay e droghe leggere: i temi fissati nell’agenda del trentatreesimo congresso del prossimo 22 ottobre sono solo l’ennesima prova dell’opera di moral suasion e della sempiterna ostruzione e intromissione nelle scelte di governo e Parlamento, con particolare accentuazione, ça va sans dire, per quelle ostili al centrodestra.

Una lunga scia di intrusioni che potremmo far partire nel 2005 quando le toghe scesero in campo contro la riforma del processo civile e contro un ddl che prevedeva riduzioni di pena per il reato di bancarotta. Apriti cielo. Si può legiferare solo col placet del sindacato dei giudici. E non solo in tema di giustizia. Qualche esempio?

Nel 2008 l’allora segretario Luca Palamara si scagliò contro il ddl sul reato di immigrazione clandestina: «Creerebbe gravissime disfunzioni per il sistema giudiziario e per quello carcerario». Quando nel 2009 la Camera approvò la questione di fiducia sul ddl intercettazioni, l’Anm parlò di «morte della giustizia penale in Italia» e di scelte legislative «che rappresentano un oggettivo favore ai peggiori delinquenti».

Nello stesso anno, per tuonare contro lo scudo fiscale del ministro Tremonti, l’Anm argomentava: «Il diritto penale richiede certezza ed effettività della pena e non può tollerare un così frequente ricorso ad amnistie o sanatorie, in particolare nel settore delicatissimo dei reati economici e fiscali». E che dire di quando il Parlamento propose che i magistrati non potessero essere ricollocati nel proprio ruolo di provenienza al termine del mandato parlamentare? Ostruzionismo. Sempre nello stesso anno, il sindacato delle toghe si mobilitò per sette giorni contro il processo breve, aprendo i tribunali alla società civile. Ma quando nel 2013 fu il Pdl a manifestare contro l’operato della magistratura l’Anm alzò le barricate. «Qualsiasi attacco alla magistratura – precisava l’allora presidente Sabelli – sotto forma di manifestazioni diretta contro di essa costituisce una sfida ai principi che sono fondamento della nostra Costituzione e delle democrazie mature». Insomma, le mobilitazioni sono buone a patto che non le faccia il centrodestra. E lo stesso dicasi per le riforme. Infatti, nel 2011 già l’Anm aveva provato a bloccare il ddl del centrodestra sul processo breve con parole durissime: «Questa maggioranza non ha legittimazione storica, politica, culturale e anche morale per affrontare questo tema».

Nel 2010 le toghe si misero di traverso pure sulla riforma dell’articolo 18: «Si mortifica il ruolo determinante del giudice del lavoro attraverso la limitazione del potere interpretativo ed è altrettanto non condivisibile la riduzione dei diritti dei lavoratori, che rischiano di dover soggiacere alle pressione del datore di lavoro».

Insomma, non c’è argomento sul quale l’Anm non si senta in dovere di aprir bocca. Sulla bancarotta intimò al governo di stralciare tutte le norme che avevano a che vedere con la giustizia. Nel luglio 2006, preoccupato per le promesse mancate del governo Prodi, il vertice del sindacato cercò una sponda nel Colle chiedendo a Napolitano di bloccare «le disposizioni più negative e mortificanti» della riforma Castelli sull’ordinamento giudiziario. E ancora: il governo fa un decreto legge per limitare la custodia cautelare in carcere? Non sia mai. L’Anm protesta. D’altronde da anni fa soltanto questo. E più che l’associazione nazionale dei magistrati sembra l’associazione nazionale dei malpancisti.

IL GIORNALE

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