I Serenissimi del tanko a Venezia. “Votiamo sì anche se sarà inutile”

davide lessi
inviato a Casale di Scodosia (Padova)

La foschia sfuma il paesaggio. Non i ricordi. E nemmeno le rivendicazioni. “Senza quello che abbiamo fatto vent’anni fa non saremmo stati qui a parlare di un referendum sull’autonomia”. Ne è certo Flavio Contin, 75 anni ed ex elettricista in pensione. Dall’altra parte del tavolo il nipote Cristian, 42enne, annuisce. Eccoli il “vecio” e il “bocia”, il ragazzo, del commando che la notte del 9 maggio 1997 assaltò, con un autocarro assemblato in un garage, piazza San Marco a Venezia e issò la bandiera del Leone sul campanile. Grazie a quell’atto simbolico la questione veneta finì nei notiziari di mezzo mondo, Cnn compresa. Ma all’epoca loro, i serenissimi, puntavano all’indipendenza. Domani si vota, senza effetti immediati, sull’autonomia. “Zaia non si illuda, Roma non concederà nulla anche questa volta”, ammonisce il vecchio Contin. Che però spiazza: “Andremo a votare sì sperando di portare nuova linfa all’autodeterminazione dei veneti”.

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No, non è solo folklore. Per capirlo bisogna venire nella Bassa Padovana. A un centinaio di chilometri da Venezia. Campi arati, villette a schiera e, vicinissimi ai giardini di casa, i capannoni di cemento vuoti per la crisi. Un paesaggio autunnale e malinconico che si ripete uguale a se stesso tra Veneto ed Emilia. Dove è cresciuta gente che non si è mai sentita, del tutto, italiana. E dove, già trent’anni fa, si progettava di mandare in tilt lo Stato unitario. “Pensavamo a quell’azione dalla fine degli Anni 80”, ricorda Contin. Riunioni, discussioni, ore di tempo portate via ad affetti e lavoro. E poi arrivò il 1997. Qualche avvisaglia c’era stata il mese prima: in aprile con un trasmettitore erano riusciti a criptare il segnale del Tg1 e a diffondere messaggi indipendentisti nelle tv di milioni di persone nel Nordest. Tutti si aspettavano qualcosa la notte del 12 maggio, ricorrenza storica dell’abdicazione di Ludovico Manin, l’ultimo doge della Repubblica di Venezia. “E invece li abbiamo presi di sorpresa, anticipando la nostra azione”, sorride il vecio Contin. E racconta la notte dell’8 maggio: quando, partiti dal Padovano, imbarcarono l’autocarro contenente il mitico “tanko” su un vaporetto e poi, armati di un mitra – un residuato bellico della Seconda guerra mondiale (senza caricatore ma funzionante) -, dirottarono la nave verso piazza San Marco.

 

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“Lo sbarco a bordo dell’autocarro è il momento che ricordo di più”, racconta Cristian che, all’epoca 22enne, era alla guida. Poi l’assalto al campanile, la notte di trattative, la resa e un paio di anni in carcere dopo il processo per direttissima. “Ma avevamo portato a termine la nostra azione. Anzi era andata anche meglio del previsto”, dicono i due.

 

Di certo, per qualche tempo, qualcuno cominciò a interessarsi a cosa stava accadendo in quel Veneto, malcontento di essere “gigante economico e nano politico”. E non fu tanto la Lega a spinta lombarda. Il Senatur Bossi, anzi, bollò l’azione indipendentista come un’operazione “dei servizi segreti e della mafia” per impedire la nascita della cosiddetta Padania. Un altro leghista ribattezzò il commando “brigata mona”. “Ecco – spiega Flavio Contin – questo referendum ha il merito di aver rinsaldato i vari movimenti intorno a un’idea comune di veneticità”. Gli fa eco Ettore Beggiato, 63 anni, 15 dei quali passati in Consiglio regionale per la Liga Veneta (la cosiddetta madre di tutte le leghe). “Il voto è un primo passo per contarci”. E aggiunge: “Un’affluenza alta potrebbe essere un boomerang anche per Zaia: se tanti andranno a votare non potrà abbandonare la questione dell’autonomia e andarsene a ricoprire un altro incarico ministeriale a Roma”.

 

Nel microcosmo indipendentista c’è anche chi si distingue. Patrizia Badii, una delle referenti del sedicente “Comitato liberazione nazionale veneto”, finita nelle carte dell’inchiesta che nel 2014 portò all’arresto di 24 indipendentisti. (Tra questi, ai domiciliari tornò anche il vecio Contin: stavano progettando una seconda edizione del tanko proprio in un capannone di Casale di Scodosia). “Non riconosco questo voto perché è un biscotto avariato”, dice la pasionària Badii. E aggiunge: “Zaia è solo un politico italiano come tanti. Alla fine, vedrete, non cambierà niente”.

LA STAMPA

 

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