Iraq, milizie sciite contro i peshmerga. Dopo l’Isis l’incubo è la guerra civile
Missili anti-tank europei contro i carri armati e i blindati di fabbricazione americana. La battaglia fra i Peshmerga curdi e le milizie sciite irachene si è combattuta con armi occidentali, e tra forze addestrate dalla Nato per sconfiggere l’Isis. Quello che si temeva, che una volta spazzato via lo Stato islamico scoppiasse l’ennesima guerra civile in Iraq, si è verificato.
Pirde si trova al confine fra le province di Erbil e Kirkuk. L’offensiva faceva parte delle operazioni cominciate lunedì dal governo iracheno per recuperare tutti i territori passati sotto il controllo curdo dopo il giugno del 2014, quando l’esercito federale si era liquefatto di fronte all’avanzata dell’Isis. Ma Erbil teme che Baghdad, e soprattutto i miliziani sciiti, non vogliano fermarsi lì e puntino a occupare tutto il Kurdistan.
Lo scontro è stato durissimo. I missili anti-tank «Milan» dei Peshmerga hanno colpito almeno un carro armato e numerosi blindati. Le perdite fra le forze sciite sono alte. Ieri sera Pirde era però nella mani dell’esercito federale iracheno, più defilato, mentre le milizie sciite fronteggiavano i Peshmerga a circa due chilometri dalla cittadina. Secondo fonti di Baghdad, il premier Haider al-Abadi, pure lui sciita, avrebbe dato ordine di «punire i ribelli» curdi ma non ci sono conferme ufficiali e sarebbero in corso contatti fra la capitale ed Erbil per risolvere la questione «con il dialogo e secondo la Costituzione».
Quello che è certo è che dalle zone tornate sotto il controllo del governo iracheno i curdi stanno scappando in massa. Il governatore di Erbil, Nawzad Hadi, ha precisato che 18 mila famiglie fuggite da Kirkuk e Tuz Khurmato sono state accolte in città, ma i profughi in totale sarebbero oltre 100 mila. A Khanaqin, vicino al confine con l’Iran, milizie e polizia federale hanno sparato sulla folla che protestava, c’è stato almeno un morto e sei feriti. Human Rights Watch ha invece notizie di cinque morti a Tuz Khurmato.
L’operazione lanciata da Al-Abadi sembra stia sfuggendo dalle mani del premier. Il problema è strutturale. L’esercito conta su un numero limitato di divisioni in grado di combattere, le stesse che hanno strappato Mosul all’Isis: le tre del Controterrorismo, la Nona corazzata, la Sedicesima. Due sono state utilizzate nell’offensiva contro i curdi ma il grosso delle forze è formato da milizie, in particolare quelle guidate da leader sciiti che rispondono a Teheran, come Abu Mahdi al-Muhandis, esiliato in Iran ai tempi di Saddam Hussein.
A Kirkuk e Tuz Khurmato sono state osservate le formazioni Asaid Ahl al-Haq, Al-Badr, Kataib Imam Ali, che agiscono lungo le direttive di Qassem Suleimani, capo del servizio «estero» dei Pasdaran. La «mano iraniana» ha agito in piena luce del sole. Suleimani è andato una settimana fa a Suleymanya, la seconda città del Kurdistan, a convincere il partito Puk, rivale del Kdp del presidente Massoud Barzani, a passare dalla parte di Baghdad e dell’Iran.
Il Puk controlla quasi metà dei Peshmerga ed era in maggioranza a Kirkuk. Per questo la città è caduta quasi senza combattere. Ma ora le forze irachene devono fronteggiare i Peshmerga del Kdp, se vogliono avanzare verso Erbil. Al-Abadi ha detto che vuole riportare il Kurdistan nei confini del 2003, quelli della Regione autonoma. Ma non è detto che i miliziani alleati dell’Iran si accontentino.
Potrebbe esserci una spaccatura all’interno del governo di Baghdad, anche perché Al-Abadi non ha inviato le milizie sciite che invece rispondono a lui e al Grande ayatollah iracheno Ali Sistani, soprattutto la Firqat al-Abbas. È quello che sperano i curdi, a loro volta spaccati in due, e molto indeboliti. Il presidente Barzani non è più comparso in pubblico. Il Puk e il terzo partito curdo, il Gorran, di fatto non lo riconoscono più come leader e trattano per conto loro con Baghdad. Il Puk ha piazzato un suo dirigente, Rizgar Ali, come nuovo governatore di Kirkuk.
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