Bankitalia, così Visco si prepara a reagire. E allontana l’idea di lasciare
C’è un prima e un dopo nella vita pubblica di Ignazio Visco. Tempo addietro, accogliendo un amico a palazzo Koch, aveva lasciato intuire le proprie intenzioni: «Qui dentro ho dato il meglio di me. È stato bello, e ciò che è fatto è fatto». Parole assai diverse da quelle che il governatore di Bankitalia pronuncia da martedì. Perché da martedì è cambiato tutto, e in ogni suo colloquio, a ogni suo interlocutore, Visco mostra il volto segnato di chi ha patito e insieme offre il tono determinato di chi intende reagire. Confida di essere rimasto esterrefatto per quanto è accaduto alla Camera, lo ha colpito «l’irritualità» del dibattito e soprattutto il modo in cui poi si è svolto.Considerazioni condivise in questi giorni da autorevoli esponenti politici e delle istituzioni, rimasti a loro volta sorpresi dal fatto che in un’Aula del Parlamento sia stato consentito d’intervenire sulla Banca d’Italia, e attraverso delle mozioni di esprimere giudizi sul suo operato. Era chiaro che a quel punto avrebbero fatto salire Visco sul banco degli imputati. Infatti così è stato.
Il tornante
Il governatore se l’aspettava, ma non avrebbe mai immaginato che il dibattito si sarebbe trasformato in un attacco talmente virulento da lasciarlo lì per lì basito. Specie per la personalizzazione che è stata fatta, e che giudica impropria.
Ecco quando è iniziato per lui il «dopo»: il dibattito di Montecitorio ha rappresentato una sorta di tornante, una prova da affrontare a difesa del proprio ruolo e dell’Istituto che rappresenta. Lo si è capito fin dal suo primo atto, dal momento in cui ha deciso di incontrare Pierferdinando Casini, il presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche. È stato un gesto conseguente alla sua decisione: non intende lasciarsi coinvolgere nelle dinamiche politiche ma non prende nemmeno in considerazione l’idea di lasciare palazzo Koch in punta di piedi.
L’idea di sacrificio
Avesse voluto fare un simile passo non si sarebbe presentato all’autorità parlamentare dicendo che «sono pronto ad essere ascoltato domani mattina». Né si sarebbe fatto seguire dal voluminoso dossier consegnato alla Commissione: atti dai quali — a suo giudizio — «risulterà la correttezza del nostro operato». Il «noi» usato da Visco non è un vezzo, è la logica conseguenza della legge alla quale si attiene l’Istituto dal 2005: la sua azione da allora esercitata in modo «collegiale». Semmai ci fosse un fixing a scandire l’affaire Bankitalia e il travagliato iter per la nomina del governatore, è certo che al momento Visco non accetta l’idea del sacrificio, non accetta cioè che la sua storia — «il meglio di me» — venga macchiata sul finale. Nonostante qualche pressione interna è intenzionato a non recedere, lo si evince dai toni assertivi usati per esprimere la sua decisione nelle conversazioni riservate. E se la politica pensa di usare i concetti di «autonomia» e «indipendenza» per Bankitalia come strumento nello scontro di potere, Visco replica presentandosi alla politica con gli atti depositati in Parlamento.
«Ma chi, il comunista?»
La Commissione d’inchiesta gli appare il luogo idoneo, perché lì potranno essere esaminati e discussi atti riservati, grazie ai quali «si capirà cosa si è fatto, chi l’ha fatto e chi non l’ha fatto». Il resto, la scelta del governatore, spetterà a Sergio Mattarella e prima ancora sarà sancita da una delibera del Consiglio dei ministri, dove c’è chi gli ha già manifestato molto più di un attestato di solidarietà. A tutti ha fatto sapere che non verrà meno un atteggiamento istituzionale, «ma ci saranno un paio di occasioni in cui dirò qualcosa»: una celebrazione interna a Bankitalia e poi il discorso alla Giornata mondiale del risparmio, che cadrà il 31 ottobre, data di scadenza del suo mandato. Sei anni fa era presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, fu lui a indicarlo per l’incarico a Giorgio Napolitano, che allora sedeva al Quirinale. La prima volta che gli fecero il suo nome, «Visco», il Cavaliere sobbalzò sulla poltrona: «Ma chi, il comunista?». L’aveva scambiato per l’ex ministro delle Finanze di Romano Prodi. Dovette intervenire Giulio Tremonti, titolare dell’Economia, per spiegargli che «sì, anche lui è stato comunista. Ma non è quello che intendi: si chiama Ignazio e non Vincenzo». Arcigno e schivo com’è, pare che il governatore non abbia mai chiamato Berlusconi, almeno di questo si lamenta spesso il leader di Forza Italia. Matteo Renzi riteneva — e ritiene ancora — che dopo sei anni «un segno di discontinuità» in quel ruolo sarebbe «opportuno». Così dicendo ha lasciato a Paolo Gentiloni sciogliere un nodo che si è attorcigliato. Il premier non ha ancora deciso nè aveva mai dato per scontata la conferma di Visco, sebbene stesse lavorando riservatamente. Ma ora che il vaso di Pandora è stato aperto, passerà dalla sua tenuta e dalle sue capacità diplomatiche la soluzione, che incrocia interessi non solo nazionali: Bankitalia è ormai una «costola» della Bce, dove siede Mario Draghi.
CORRIERE.IT
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