Scorciatoie populiste, gli errori più gravi del leader
di EUGENIO SCALFARI
Dobbiamo tornare sulla questione Renzi-Banca d’Italia non perché ci siano novità ma per esaminare le conseguenze e le varie interpretazioni. In favore di Renzi c’è un certo tipo di populismo: quei numerosi cittadini con patrimoni e redditi alquanto limitati, che – a torto o a ragione secondo i casi – maledicono le banche che per loro rappresentano gli interessi di un capitalismo ladro. È assai probabile che Renzi, conoscendo questo fenomeno che tutti conosciamo, abbia puntato su di loro per allargare la platea dei suoi ascoltatori e sperabilmente degli elettori per il Pd. Questa motivazione è tuttavia molto esile, rispetto alla mole dei contraccolpi che ha suscitato e susciterà.
Il primo è la contrarietà di una buona parte della classe dirigente del Pd, di quasi tutta la classe dirigente del Paese e della pubblica opinione. Il secondo è un errore vero e proprio: gli italiani che se la prendono con le banche hanno di mira quelle operanti sul loro territorio, qualcuna grande e molte piccole e locali, ma non la Banca d’Italia della quale molti ignorano le funzioni. L’attacco di Renzi invece è stato soltanto nei confronti dell’Istituto di emissione e non alle banche e banchette che egli anzi difende. È curiosa questa dicotomia: lui spera di ottenere voti da chi odia le banche, ma parlando contro la Banca d’Italia dimentica che questa ha come compito di difendere le banche in difficoltà e di solito lo esplica.
Il terzo errore riguarda il suo rapporto con le personalità più autorevoli del Pd. Nella celebrazione effettuata sabato della scorsa settimana al teatro Eliseo gremito nella platea e nelle tribune dalla parte migliore e più attiva del partito, Renzi ha riconosciuto la necessità che il partito non fosse chiuso ma aperto: un partito che aveva il compito di ringiovanire e ricostruire la sua struttura e la sinistra che è in crisi in tutti in Paesi d’Europa salvo finora in Italia. Prima di lui aveva parlato Walter Veltroni e poi Paolo Gentiloni. Veltroni in qualche modo aveva fatto la storia del partito, le origini, la sua cultura politica, e le sue caratteristiche strutturali. Quando Renzi ha preso per ultimo la parola ed ha concluso la celebrazione, ha riconosciuto a Gentiloni un’efficiente condotta del governo di cui il Pd ha la maggioranza, e a Veltroni addirittura una qualità di padre del partito e in qualche modo padre della patria. Sostenendo che queste persone facevano parte insieme a lui della dirigenza del Pd e che altre ancora ne avrebbe accolte accanto a sé per formare una vera e propria classe dirigente con la quale avrebbe discusso e concordato tutte le azioni importanti da svolgere. Insomma una sorta di super direzione con la quale il partito avrebbe avuto una guida collettiva, di cui naturalmente il segretario era il capo riconosciuto.
Sono passati pochi giorni da quella riunione ed è scoppiato il caso Banca d’Italia. Discuteremo a parte la sostanza di quel caso, ma voglio ora far notare ai lettori che del resto ne sono certamente al corrente, che Veltroni non è stato informato minimamente dell’attacco all’Istituto di emissione e nessuna delle personalità ne era stata informata a cominciare ovviamente da Romano Prodi. Nessuno sapeva nulla, neanche Gentiloni che ricevette però la mozione per sottoscriverla con l’accordo del governo.
Per fortuna del Paese a Gentiloni quella mozione non piacque affatto così come era stata redatta dal Renzi e dal suo “Cerchio magico”. Perciò mise al lavoro Anna Finocchiaro per modificarla non solo nella forma ma anche nella sostanza. Finocchiaro è molto brava in questo genere di questioni delicatissime e riuscì a modificarla in gran parte ma non totalmente. Tuttavia diventò accettabile per un governo come quello che abbiamo anche se però Renzi aveva già diffuso pubblicamente il testo originario. Quindi quello ufficiale contiene le correzioni notevoli di Finocchiaro ma quello del partito nella sua originaria integralità è comunque stato reso noto con tutti i mezzi di comunicazione. La reazione di Veltroni si compendia in due parole: “Documento incomprensibile e inaccettabile”. Oltre a lui e con analoghe motivazioni si è schierato il presidente del gruppo Pd al Senato Luigi Zanda e molte altre personalità del partito. Il sigillo a queste posizioni è la dichiarazione fatta da Giorgio Napolitano che in qualche modo rappresenta e sostiene in ogni occasione con le appropriate motivazioni il bene del Paese.
L’altro errore compiuto da Renzi con la sua mozione è il più complicato e il più devastante di tutti ed è la coincidenza della posizione renziana con quella di Grillo, di Salvini e di Meloni. Questi movimenti sono sostanzialmente populisti in una fase dove appunto populismo e antipopulismo sono i due grandi fronti che si combattono in tutta Europa. L’errore, di cui secondo me Renzi non si è minimamente reso conto, è per l’appunto una sorta di populismo ancora iniziale; se questo tipo di politica continuerà, diventerà la vera caratteristica d’un partito nato su tutte altre basi e tutt’altre finalità. Definisco populista l’attacco alla Banca d’Italia perché appunto Renzi cerca nuovi elettori in fasce sociali che praticano inconsapevolmente un populismo di notevole marca: attaccare le banche e le banchette in genere non è una posizione seria e motivata: è un modo di pensare che cerca il male dove non c’è o dove ci può essere ma non come categorie (banche e banchette) ma su singoli istituti di credito e in alcune specifiche occasioni.
Di tutto questo credo che Renzi non si sia reso conto e proprio per questo ha compiuto un ulteriore errore dal suo punto di vista: vuol ingraziarsi chi vede il proprio male economico nelle banche e attacca non quelle banche ma la Banca d’Italia accusandola di far del male al sistema mentre la funzione che la Banca d’Italia esercita e che in larga misura effettua è proprio quella di proteggere il sistema bancario. Si vedrà ora se Ignazio Visco, governatore dell’Istituto di emissione sia incline a ritirarsi dalla carica o viceversa desidera essere riconfermato per i prossimi sei anni.
Ho avuto occasione tre giorni fa di parlare telefonicamente col governatore e posso riferire che lui non pensa affatto di ritirarsi anche se, qualora le autorità competenti lo pregassero di dimettersi per dar luogo a un mutamento, lui certamente darebbe le dimissioni per comportarsi come richiesto. Ma se questo non avverrà (e sicuramente non avverrà) il governatore attenderà le decisioni del presidente della Repubblica, lieto se saranno una riconferma. Spiegherà poi tutte le sue azioni con opportune documentazioni quando sarà interrogato dalla commissione incaricata di approfondire il funzionamento del sistema bancario italiano.
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Ho già scritto prima che in tutta Europa è in corso uno scontro tra democratici e populisti. Inizialmente i movimenti populisti europei erano di piccola taglia elettorale e rappresentavano appunto quei piccoli gruppi di elettori i quali detestano la democrazia, che secondo loro, è un regime che fa l’interesse di pochi e danneggia quello del popolo sovrano. Negli ultimi tempi però questi piccoli movimenti che spesso non arrivavano neppure ad oltrepassare la soglia di voti che bisogna avere per entrar nei vari Parlamenti, hanno avuto una crescita di rapidità impressionante e quantitativamente di notevole rilievo. In tutti i Paesi d’Europa a cominciare dalla Germania, dall’Olanda, dalla Spagna, dalla Grecia, dall’Italia. In Francia no, questa crescita non c’è stata. Non c’è stata neppure negli otto Paesi che non hanno la moneta comune. Essere fuori dall’Eurozona è già di per sé un motivo di populismo monetario che consente ad essi di non conformarsi alla politica europea ma di averne una propria che spesso è più aperta verso Mosca che verso Bruxelles.
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Il fatto della massima importanza che da un paio di anni sta avvenendo in tutta Europa è la trasformazione profonda della politica. Fino a un paio d’anni fa la politica era alla ricerca di quali fossero i provvedimenti da adottare per conseguire il bene del popolo. Il bene in tutti i sensi: maggior benessere economico, sociale, culturale. E poi di rapporti possibilmente amichevoli con le altre nazioni e in particolare con quelle politicamente più importanti nel proprio continente e nel mondo intero specie in tempi di società globale.
Infine la politica doveva perseguire e tutelare i grandi valori della libertà e dell’eguaglianza, senza mai abbandonare la tutela di uno di quei due valori che in quel momento non aveva dalla sua la maggioranza del popolo, ma che non poteva e non doveva in nessun caso scomparire. Un paese che gode della massima libertà ma con notevole distacco dall’eguaglianza sociale deve tuttavia tutelarne quel valore e viceversa. Una libertà senza eguaglianza affida il bene comune ai gruppi più forti, specie economicamente, di quel Paese se invece è l’eguaglianza a trionfare e la libertà a scomparire siamo a un passo dalla dittatura come del resto è accaduto in Russia.
Quei due valori sono dunque fondamentali entrambi e per mantenerli come tali occorre realizzare il mandato che ci viene dal pensiero di Montesquieu: una struttura politica di poteri separati l’uno dall’altro anche se al vertice debbono condividere lo stesso obiettivo e cioè la realizzazione del bene sociale attraverso la separazione dei poteri: quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. Quei poteri separati debbono tuttavia perseguire il medesimo fine che è appunto il bene comune e questo è assicurato da un vertice che alla tutela di quel fine è dedicato. Di solito si tratta del presidente della Repubblica e di una Corte non giudiziaria ma costituzionale che giudica infatti la costituzionalità degli atti compiuti dai singoli poteri.
Per restaurare e rinnovare la democrazia occorre un partito che col populismo non abbia nulla a che vedere e che pensi alla politica che abbia una P maiuscola come usava Aristotele. Quella maiuscola significa appunto una politica che persegua il bene comune in tutti i suoi aspetti, che non sono soltanto quelli economici e sociali, ma si compendiano appunto nella libertà e nell’eguaglianza, entrambe tutelate da appositi organi istituzionali. Avevamo sperato che il Pd fosse lo strumento politico per la realizzazione o il mantenimento o la maggiore efficienza e comunque l’atmosfera politica del Paese e del continente cui apparteniamo e questo era infatti la finalità del Partito democratico quando è nato dieci anni fa. E non voglio dire che sia scomparsa questa finalità, ma dico che è in pericolo e che il Partito democratico oscilla molto da questo punto di vista. Purtroppo Renzi ha il carattere che ormai conosciamo. Speravo che l’avesse cambiato e ne ero felice. Vedo che non è avvenuto ed anzi ha rifatto un passo indietro dalla strada appena imboccata.
Ora deve scegliere tra ritorno all’idea del partito aperto e un organo di consultazione e di attuazione di quanto deciso, oppure populismo fino in fondo all’insegna del “comando io” e allora, come Grillo e Salvini, diventeremo il peggio del peggio.
REP.IT