Dopo il referendum Maroni dimostri che non è stato tutto un gran «bluff»
L’elettore è sovrano, parola al tablet. E il tablet dice che i lombardi — pur con i milanesi tiepidi — hanno superato la soglia psicologica del 34% di affluenza, fissata per la verità dallo stesso governatore Maroni. Un buon risultato in valore assoluto, meno se paragonato all’onda d’urto degli elettori veneti, che storicamente hanno nel loro Dna una propensione autonomista assai più spiccata. Mettiamola così: dall’urna digitale esce un’importante investitura senza assegni in bianco. E una sperimentazione del sistema di voto che richiederà una buona messa a punto: la voting machine ha barcollato, a nessuno è sfuggito il paradosso dei dati sull’affluenza sfornati con netto ritardo rispetto al Veneto.
La legittima voglia di innovazione tecnologica va meglio conciliata con il mito dell’efficienza lombarda. Detto questo, a Maroni resta un bel tesoretto di sì da giocarsi come strumento di pressione sul governo. Nella scia di Zaia in fuga davanti a lui e con a ruota Giorgio Gori, capitano del comitato di sindaci per un sì «diverso». A Maroni l’onere di dimostrare che la voglia di federalismo fiscale non è un bluff. Al suo sfidante alle Regionali il compito di smaltire le scorie di una scelta referendaria che ha spaccato il centrosinistra. C’è tempo fino alla prossima primavera. Poi l’elettore tornerà sovrano. Con o senza tablet.
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