La Banca d’Italia, Visco e la scelta giusta per il Paese

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco

 

Ignazio Visco si avvia verso il suo secondo mandato alla guida della Banca d’Italia mentre entra nel vivo la commissione parlamentare sui dissesti degli istituti. E con tutti i nostri evidenti problemi, l’errore che a questo punto non dovremmo commettere noi italiani è quello di sentirci eccezionali. Non lo siamo. Né nel bene, né nel male. Siamo, banalmente, solo gli ultimi in ordine di tempo. Dal 1990, hanno affrontato crisi bancarie di dimensioni sistemiche – nell’ordine – la Svezia, la Finlandia, la Norvegia, la Corea del Sud, Taiwan, il Giappone, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Danimarca, il Belgio, l’Olanda, la Germania, l’Austria, la Grecia, la Spagna, la Francia, il Portogallo e Cipro. Per non parlare delle economie meno avanzate, fra le quali tutti i principali Paesi asiatici, tutti quelli dell’America Latina e la Turchia. E magari sfuggirà nella caccia all’uomo che in certi giorni sembra diventata la politica italiana, ma in nessuno di quei casi è mai stata gestita una crisi bancaria come lo si fa oggi: con poco denaro pubblico e con il bail-in, cioè l’imposizione di perdite anche su obbligazionisti e depositanti fino all’8% dei debiti di una banca sostenuta dallo Stato. Perché questo è ciò che accade in Italia, ed è senza precedenti.

Per salvare le banche la Finlandia ha investito risorse dei contribuenti per il 12% del reddito nazionale, il Giappone il 14%, l’Irlanda il 30%, la Germania il 12,8%, l’Olanda il 14,6%, la Gran Bretagna il 6,7%, la Spagna il 7,3%, gli Stati Uniti il 4,8%. Spese enormi, comprensibilmente impopolari, ma si spiegano proprio perché lasciare cadere il sistema finanziario avrebbe prodotto conseguenze anche peggiori. Quanto al governo italiano, finora ha speso circa l’1,2% del Pil. Meno di tutti. A volte vale la pena mettere questi fatti in prospettiva, perché è innegabile che la Banca d’Italia in questi anni abbia commesso anche degli errori. Forse avrebbe dovuto fare di più nella finestra di tempo – stretta – fra il superamento della fase acuta della crisi del debito nel 2012 e l’avvio delle nuovi vincoli europei sui salvataggi un anno dopo. Di certo non è stata rapida nel reagire ad alcuni risvolti pericolosi nel dissesto della Popolare di Vicenza. In molti altri casi invece Visco e i suoi hanno vigilato, segnalato (non sempre ascoltati) ed evitato guai peggiori.

La lezione resta la stessa in tutto il mondo: la capacità dei regolatori di impedire gli eccessi e tenere a freno l’avidità nel sistema finanziario è profondamente imperfetta ovunque. I banchieri saranno sempre più veloci dei loro guardiani, perché sono loro ad avere in prima battuta il controllo delle risorse e delle relative informazioni. Sono loro a poter distribuire il denaro in tanti piccoli rivoli, dunque il potere che esercitano sui politici è prodigioso. Spetta semmai ai governi il compito di cambiare le regole del gioco quando diventa evidente che queste non funzionano. E in Italia resta ancora molto da fare per eliminare gli incentivi, fiscali e normativi, che producono troppi piccoli potentati bancari locali immutabili nei decenni. Niente di tutto questo significa che la commissione parlamentare debba sospendere il giudizio sulla Banca d’Italia. Visco può aver preso tante decisioni corrette e qualche altra meno ma, anche lui, non è un caso eccezionale. Alla Federal Reserve Ben Bernanke non vide l’arrivo della crisi dei subprime, non ne capì le conseguenze quando esplose, lasciò disastrosamente fallire Lehman Brothers, ma venne riconfermato da Barack Obama e salvò l’economia globale dimostrandosi uno dei migliori banchieri centrali di sempre. Il suo caso è simile a quello italiano almeno per un punto: l’integrità e la professionalità di Visco non sono in discussione. È importante che non lo siano, perché un governatore deve avere pieni poteri e piena legittimità negli anni difficili che aspettano il Paese. Non può essere sub judice. Non è interesse di chi si candida a governare – a partire da Matteo Renzi – proseguire in una guerra di logoramento sperando di riuscire ad avere una Banca d’Italia dimezzata. E lo è ancora meno perché in questi giorni abbiamo notato volteggiare attorno alle nomine di via Nazionale anche interessi opachi, ormai spelacchiati e indeboliti nell’Italia del 2017, ma ben visibili sotto le nubi. Con Visco, la Banca d’Italia è in mani integre. E non è poco.

CORRIERE.IT

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