«Quando Beppe Grillo, nudo, faceva il samurai a Tokyo»: tutti gli scherzi di Antonio Ricci (anche a Berlusconi)

È quasi un’autobiografia Me tapiro, il libro di Antonio Ricci che Mondadori pubblica la prossima settimana e che il Corriere ha letto in bozze. Fin dalle prime pagine, in cui racconta di aver rischiato di morire a 4 anni soffocato da una caramella — lo salvò la madre afferrandolo per le caviglie e scuotendolo a testa in giù — e ricostruisce la storia della famiglia: il nonno «che gustava come una leccornia le bucce di patata trovate nella spazzatura del campo di prigionia tedesco» nella Grande Guerra, «le polpette di sabbia trangugiate da mio padre a Tobruk, solo per riempire la pancia» nella Seconda guerra mondiale. Lui è quasi inappetente, da quando cucinarono con le patate il coniglietto con cui giocava da bambino. Ma ecco i ritratti di alcuni personaggi, come l’autore li ha visti.

Paolo Villaggio

Ai funerali di Fabrizio De André, Ricci incontra Fiorella Mannoia, Ivano Fossati, Vasco Rossi, Fernanda Pivano, Roberto Vecchioni. E, in un angolo, Paolo Villaggio, che gli sussurra: «Antonio, sono molto invidioso. Secondo te riuscirò mai ad avere funerali di questo tipo?». Ricci sta al gioco: «Secondo me il comico ai funerali funziona molto meno; il funerale è più da cantautori». Risposta: «Ho deciso di morire d’estate; d’estate succedono meno cose e c’è più spazio sui giornali e nei palinsesti tv». Così ha fatto.

Fabrizio De André

Il giovane Ricci cantava in pubblico le sue canzoni, ma non è vero quello che Paolo Villaggio ha raccontato in tv dalla Dandini, che per scommessa avrebbe istigato De André a mangiare un topo crudo. Ricci non ha mai smentito. Anche perché «solo un cretino farebbe un comunicato stampa per dire: “Contrariamente a quanto sostenuto dal signor Villaggio su Rai 2, non sono stato io ad aver fatto mangiare il topo crudo a De André”».

Grillo 1: il falsario

«Grillo l’ho conosciuto su un campo di calcio: io giocavo terzino, lui mezz’ala. Lo rividi al Jolly Danze, una baleraccia enorme che occupava i sotterranei del Politeama Genovese e dello Stabile. Era un giovedì. Quella serata la dedicai a Jacques Brel. Alla fine, nella penombra, vidi profilarsi tra i fumi un ragazzo magro, con barba e capelli lunghi, che fu prodigo di complimenti. «Sai — disse — La canzone dei vecchi amanti è mia”. Tua? “Dovresti dire anche tu che è mia, perché io faccio così”. Aggiunse che anche L’isola e Kzar erano sue». Ovviamente, precisa Ricci, non era vero; la versione italiana de L’isola e di Kzar è di Duilio Del Prete; ma Grillo «mi spiegò che suo fratello, lavorando come rappresentante di una casa discografica, gli forniva in anteprima i brani, di cui lui si impadroniva. Era come un gioco, un modo per farsi grande con gli amici… Era anche solito frequentare gli spettacoli degli altri comici e appuntarsi le migliori battute su un’agenda, detta “il librone”, per riciclarle nei suoi spettacoli». «Una sera, durante la mia esibizione, vidi precipitarsi Beppe, di fronte al palco, agitato: “Ricci, ti devo parlare! Antonio, dai…”. Riuscii a mandarlo via, ma nel timore che ritornasse accorciai lo spettacolo. “Mi vuole Pippo Baudo!” disse. “Bene”. “Bene un corno. Sono rovinato… Adesso mi scopriranno… Un conto è girare per la provincia, un altro è andare in tv, dove Brel è Brel. Tu mi devi aiutare, mi devi scrivere i pezzi”. Aveva deciso: da simpatico falsario sarebbe diventato un vero inimitabile comico».

Grillo 2: il kamikaze

Sopralluogo a Tokyo con Grillo e Stefano Benni. «A Beppe venne in mente di fare il test dell’Ultimo Samurai. Completamente nudo, si era coperto con una specie di mutandozzo, creato con un asciugamano e la cintura dell’accappatoio. La mia camera era di fianco all’ascensore; quando arrivava, verificavo che i clienti fossero manager americani, poi telefonavo a Grillo per avvertirlo. Beppe si fiondava in corridoio e, caricando gli americani a testa bassa, gridava: “Yankee! Samurai! Kamikaze!”. Vedendosi arrivare addosso quella furia, gli americani facevano dietrofront e scappavano dentro l’ascensore. Purtroppo, poi, Beppe si ammalò: il suo corpo nudo e sudaticcio non aveva retto alle glaciali temperature dell’aria condizionata giapponese. Ritenemmo tutto questo un segno di Dio e decidemmo di non fare più Te lo do io il Giappone».

Grillo 3: Berlusconi

Antonio e Beppe organizzano uno scherzo: vanno a Milano 2 ad annunciare che Berlusconi ha deciso di sostituire Johnny Dorelli con Grillo alla conduzione del varietà Finalmente venerdì. Un dirigente confida: «Il Dottor Berlusconi mi aveva avvisato ieri pomeriggio, sono contento che la cosa sia andata in porto». «Me l’ha detto questa mattina il Dottore» dice un funzionario. «Mi aveva messo al corrente di questa sua idea da una settimana, ma non ne potevo parlare» esagera un altro. Grillo infierisce: «I miei avvocati mi dicono di non firmare niente se prima non mi date le prove che Dorelli è stato effettivamente licenziato». Parte il telex. «Johnny Dorelli era furibondo. Faticarono non poco a fargli riprendere le registrazioni».

Renzo Piano

Ricci lo chiama il Geometra. «Quel giorno, al varo della barca da lui stesso progettata, il Kirribilli, Renzo aveva invitato una schiera di rompiscatole patentati: oltre a me e a Grillo, Oliviero Toscani, Giorgio Forattini, Gino Paoli, Giancarlo Giannini e Umberto Veronesi», che Ricci chiama il Velone. Folla di giornalisti stranieri, telecamera della sofisticata tv franco-tedesca Arte. Ci sono anche i frati del convento di padre Pio, che donano a Piano una statua del santo in finto bronzo. «Mettiamola a prua, come una polena!» grida Ricci. «A prua, a prua!» urlano gli amici. Grillo «acciuffa il manufatto, lo brandisce, lo solleva, poi facendosi largo come un giocatore di rugby si dirige sulla barca. Noi lo seguiamo in fila indiana», sotto gli occhi attoniti dei reporter e dell’architetto, che riesce a togliere la statua e a chiuderla in un cassettone. Ricci lo avvisa: «Renzo non sai che cosa ti sei andato a cercare, ora il santo si è offeso, e per darti un segno ti bucherà la barca…». Il Kirribilli fece naufragio pochi giorni dopo.

Umberto Eco

Ricci racconta la sua insospettabile amicizia con il semiologo, che una sera davanti a un paio di Martini gli confida: «In fondo siamo tutti Veline. Quindi voglio venire sul bancone di Striscia, a ballare anch’io col bamborino di fuori».

Giorgio Faletti

Faletti faceva Drive-In e il pilota di rally: «Se decideva di diventare pittore, musicista, scrittore, lo diventava. Ha sempre sostenuto che se lui si fosse messo in testa di fare il lampadario, gli sarebbe bastato appendersi al soffitto e prima o poi da qualche parte gli sarebbe uscita la luce».

Giletti&Montale

Massimo Giletti invita Ricci a Domenica In, a recitare la poesia del cuore. Lui manda un video in cui declama una falsa poesia di Montale, L’emerocallo, scritta da lui: «Come l’emerocallo che scolora/ nella bruma diffusa della sera/ sempre svanisce nel ricordo/ questa allegrezza inquieta…». Giletti manda in onda. «Nessuno segnalò l’apocrifo».

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